All’indomani della prima tornata di consultazioni si comincia già a lavorare sul futuro prossimo, ossia sulla settimana ventura, quando il capo dello Stato attenderà di nuovo al Quirinale le forze politiche. Certo, nessuno si può presentare al secondo appuntamento al Colle con in mano le stesse carte del primo. In tal caso, infatti, sarebbe inutile muoversi da casa, anche solo per fare una passeggiata. L’unica via realistica che resta aperta sul tavolo politico è quella di una possibile maggioranza centrodestra-M5S, prospettiva però che deve superare la pregiudiziale principale espressa da Luigi Di Maio nei riguardi di Forza Italia. Un paradosso vero e proprio, definito come richiesta grillina di un dialogo selettivo all’interno di una coalizione altrui, ma addirittura sancita dal disconoscimento dell’esistenza politica del centrodestra.
Si tratta, chiaramente, di uno stratagemma dei Pentastellati volto a consolidare, o consolare, la base dopo la svolta governista, ma soprattutto intenzionato a destabilizzare il rapporto tra Matteo Salvini e Silvio Berlusconi. Se, tuttavia, quest’ultimo, in un certo modo è caduto, forse volontariamente, nella trappola marinaresca, il leader della Lega, invece, ha reagito con arguzia, smarcandosi prontamente: “Chiederò a Berlusconi e Meloni di andare insieme alle consultazioni”. Così ha asserito secco a Rainews24.
Bene. Lavorare, in fin dei conti, per fortificare la coalizione liberal-conservatrice, proprio mentre viene messa in discussione addirittura la sua esistenza, è un passo non banale, un atto strategico con un’ottima tempistica, idonea per avviare rapidamente il processo politico verso la vera soluzione della crisi. L’effetto immediato è duplice, infatti: costringere il M5S ad accettare un contratto solo e soltanto con tutti e tre i partiti amici, lasciare la palla a Berlusconi e a Giorgia Meloni, che si vedranno costretti a confermare, com’è probabile, o a tradire esplicitamente, com’è improbabile, il gioco comune.
La scelta di Salvini, ad ogni buon conto, è onesta e rassicurante specialmente per gli elettori, i quali, ricordiamolo, hanno votato nel maggioritario per candidati unici di coalizione, ed è il miglior modo per stanare Di Maio dal suo paradiso artificiale, indebolendo il ruolo di ago della bilancia che il movimento grillino si è auto attribuito dopo le elezioni. L’elettorato di centrodestra ha premiato l’unione di tre soggetti politici, si è riconosciuto in tale aggregazione, tanto che tale coagulo compatto è unica maggioranza, sia pure relativa, del Paese.
Così messe le cose, un ragionamento costruttivo diventa finalmente possibile, e un incarico non può essere dato a Di Maio ma solo a Salvini. Se non funziona questa operazione, allora si chiude definitivamente la porta ad ogni soluzione che guardi questo lato dello scacchiere parlamentare. Senza pie illusioni, si può dire pertanto che Salvini stesso è stato bravo anche in questa circostanza a tenere la barra dritta, dando al lavoro di Mattarella qualche spunto positivo in più. L’unità del centrodestra, difatti, è condizione necessaria, sebbene non ancora sufficiente, per un governo possibile. Tutto il resto conseguirà da questa premessa, se sarà opportunamente mantenuta. Oppure conseguirà dal fallimento di questa premessa, se la parola data agli elettori non sarà mantenuta.