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È l’economia della salute, bellezza! Le virtù spiegate dal presidente di Farmindustria

Di Massimo Scaccabarozzi
white economy

La white economy o filiera della salute vale il 10,7% del Pil, più della spesa pubblica (6,7%) e anche più della spesa complessiva, includendo la spesa privata (8,8%). Ecco perché possiamo dire che si tratta di un investimento e non di una spesa. Ed è un potente driver dell’economia italiana, non solo per il contributo al Pil, ma anche per il numero di persone occupate: 2,4 milioni, che rappresentano il 10% della forza-lavoro complessiva.Un  ore all’occhiello del Made in Italy, come emerge dal rapporto Filiera della salute 2018 realizzato con una importante iniziativa di Confindustria insieme alle associazioni confederali di categoria che, oltre a Farmindustria, rappresentano la filiera (Aiop, Assobiomedica, Federchimica e Federterme).

Il centro della white economy è costituito dall’industria privata: un settore i cui principali indicatori di performance registrano miglioramenti significativi  sia in termini percentuali, rispetto al totale nazionale, sia in termini assoluti. E i numeri lo confermano. La  liera rappresenta da sola, rispetto all’economia del Paese, il 4,9% del fatturato (144 miliardi di euro), il 6,9% del valore aggiunto (49 miliardi di euro), il 5,8% dell’occupazione (circa 910mila persone) e il 7,1% delle esportazioni (oltre 28 miliardi di euro), con valori tutti in crescita rispetto al 2008.

Le imprese biofarmaceutiche ne sono una parte fondamentale per la loro capacitàdi produrre, esportare e innovare. Generano infatti i due terzi della produzione, della R&S e dell’export della componenteindustriale. Creano sinergie con le imprese dell’indotto, come meccanica e imballaggio. Sono vere e proprie eccellenze della ricerca italiana, con 700 milioni investiti negli studi clinici, e hanno un ruolo propulsivo nel rinascimento dell’innovazione che sta cambiando il volto della sanità in tutto il mondo.Questa è la fotografia dell’esistente scattata dallo studio di Confindustria, ma c’è anche un “film” che ci fa vedere che il futuro è già iniziato. Grazie a due rivoluzioni. Dalla ricerca arriva la rivoluzione della genomica e delle terapie personalizzate – che sono più del 20% dei farmaci autorizzati; il 42% di quelli in sviluppo, addirittura il 73% in oncologia – che determina maggiori conoscenze sulle caratteristiche genetiche degli individui. E dalla tecnologia, quella digitale, che consente di tracciare le informazioni ed elaborare un’enorme massa di dati per prevenire le malattie, migliorare le diagnosi, trovare terapie più efficaci.

Rivoluzioni che hanno portato a risultati incredibili, con il record della pipeline di farmaci in sviluppo nel mondo (15mila, oltre 7mila in fase clinica) e a un cambio di paradigma del “bene farmaco”, che non è più solo un prodotto, ma parte di un processo di cura più complesso e interconnesso insieme a diagnostica di precisione, device e servizi di assistenza. Passi da gigante, in primis per i malati che vedono aperte nuove prospettive di cura. E che interessano la struttura demografica della società, con medicinali e tecnologie che guariscono o cronicizzano malattie prima incurabili. Con ricadute sulla ricerca, che ormai si basa sul modello della network innovation, con team multidisciplinari di medici, matematici, bio-informatici, statistici, esperti di bioingegneria, specialisti di nanomateriali, big data e Ict. In un mondo che cambia è necessario essere veloci per migliorare ancora la competitività del sistema-Paese.

La farmaceutica e le scienze della vita sono il più grande investimento a livello mondiale (quasi mille miliardi di dollari investiti tra il 2018 e il 2022). E l’Italia sta dimostrando di essere in grado di attrarre parte di questi investimenti. Le imprese del farmaco sono pronte ad aumentare il loro impegno per consolidare i progressi degli ultimi tempi e rafforzarli. La strada è tracciata, ma è necessario assicurare certezza delle regole e una nuova governance che tenga conto del valore creato, dei costi evitati e dei bisogni di cura, favorendo l’accesso all’innovazione. Soprattutto a fronte di un trend demografico di bassa natalità e di invecchiamento della popolazione, con una maggiore domanda di salute e diversi modelli di consumo. E anche per questo è fondamentale legare e sviluppare sempre più silver e white economy.

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