Il pressing ormai c’è tutto. Se davvero Giuseppe Conte sarà premier, dovrà preoccuparsi necessariamente di dare una linea su Alitalia. Perché il futuro della compagnia rischia di ritrovarsi ben presto in mezzo al guado. Luigi Gubitosi, come raccontato da Formiche.net, lo ha detto chiaro e tondo giusto giusto tre giorni fa: nuovo governo, idee chiare e subito.
Vendere, non vendere e nella seconda ipotesi, dove prendere i soldi per far volare, una volta tanto, Alitalia con le sue ali? La compagnia, giova ricordarlo, brucia ancora cassa visto che spende più di quello che incassa e la reddititività è ancora negativa per 117 milioni. Anche se, secondo le stime di Gubitosi, i ricavi cresceranno nel secondo trimestre del 6%.
“Vanno prese decisioni importanti che è il limite della gestione commissariale che ha dei vantaggi come la possibilità di cancellare i contratti ma che manca della gestione temporale. Serve una decisione veloce e breve, ma la cosa importante è che si decida dove si voglia andare, qualunque scelta si faccia: la uno, la due o la tre, anche se la chiusura mi sembra un’ipotesi molto residuale”, ha chiarito Gubitosi in occasione di un evento Cisl.
Fare presto, fare in fretta, va bene. Il problema è che rimettere in sesto Alitalia può costare parecchi soldi. “Un significativo” esborso di capitale, senza fare, come spesso accaduto “le nozze coi fichi secchi: qualunque sia la forma di rilancio non si può prescindere da un significativo esborso di capitale. Quello che mi sento di poter dire è che non si può rilanciarla senza soldi. Bisogna fare presto e bene”.
E qui si apre la prateria delle ipotesi. Una soluzione, alternativa al ritorno dello Stato e soprattutto alternativa alla cessione, l’ha prospettata il numero uno di Atlantia, la holding della famiglia Benetton (che tra le altre cose gestisce lo scalo di Fiumicino per mezzo di Adr), Giovanni Castellucci, intervenuto al medesimo evento con i commissari Alitalia. Una soluzione all’americana verrebbe da dire.
Ovvero l’apertura del capitale ai dipendenti, in questo caso i piloti. Sono molti gli esempi virtuosi nel mondo alnglosassone, dove vige il modello della public company, ad azionariato frastagliato. Castellucci si è ispirato al modello United Airlines, la compagnia statunitense salvata dal crack dall’ingresso dei piloti nel capitale della società, assumendone la maggioranza.
“Il tema della competitività di Alitalia non può essere eluso qualunque sia il futuro, perché il nostro mercato è il meno garantito. La situazione è estremamente complessa e qualche ispirazione la si può trarre da situazioni analoghe tipo United, ma la competizione sui costi è ineludibile. La strada è estremamente complessa ci vogliono tempo, soldi e bravura di chi la porta avanti, che non può che essere un sistema, perché la compagnia è un oggetto collettivo. Non è una cosa che può gestire un uomo solo al comando”.
Il piano potrebbe funzionare, ma bisogna tenere ben presenti alcuni aspetti. Punto primo, bisogna allestire un piano industriale in grado di convincere la folta platea dei piloti, da sempre zoccolo duro dentro la compagnia. Punto secondo, occorre capire quante risorse possono arrivare da questa soluzione, che di certo allo Stato non costerebbe nulla, o quasi.