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Un caos figlio di quattro anni di campagna elettorale

campagna elettorale

Quando si dice che in Italia la campagna elettorale non finisce mai si ha l’impressione di una battuta, di un’esagerazione. Invece no: da oltre quattro anni è proprio così, senza soluzione di continuità.

Quando Matteo Renzi prese il posto di Enrico Letta a Palazzo Chigi era il febbraio 2014: subito lanciò la proposta di riformare la Costituzione e il Consiglio dei ministri deliberò l’abolizione del Senato e del Cnel già nel marzo successivo. L’opposizione di centrodestra alzò le barricate invocando l’Italicum perché considerava una nuova legge elettorale più urgente del resto. I lavori proseguirono così come le polemiche sul futuro dell’Italia arrivando così al 2015: a maggio il Parlamento approvò l’Italicum, ma con una formula che non piacque alle opposizioni e alla minoranza del Pd, e il 1° luglio Renzi annunciò che il referendum costituzionale si sarebbe svolto nel marzo 2016.

I tempi slittarono mentre le opposizioni scatenarono una guerra a favore del “no” alla riforma e raccolsero le firme necessarie per il referendum nell’aprile 2016: il voto ci fu poi il 4 dicembre, la riforma venne bocciata e Renzi fu costretto alle dimissioni. Poco dopo la nascita del governo di Paolo Gentiloni, a complicare la situazione nel gennaio 2017 ci fu la (prevista) bocciatura dell’Italicum da parte della Corte costituzionale nella parte relativa al ballottaggio. Dunque, serviva una nuova legge elettorale e naturalmente ciascun partito cercò la formula più conveniente per sé: mesi di trattative sul cosiddetto Rosatellum (dal nome del capogruppo del Pd alla Camera, Ettore Rosato) e alla fine il via libera arrivò nell’ottobre scorso a larghissima maggioranza nonostante i dubbi su un sistema sostanzialmente proporzionale.

Nei mesi precedenti l’approvazione, però, Renzi aveva cercato in tutti i modi di arrivare alle elezioni anticipate che, dopo mille ipotesi, avrebbe gradito per il 24 settembre in contemporanea con quelle tedesche. Un tentativo di ribaltare il tavolo e di cercare la rivincita dopo la sconfitta nel referendum che cozzò con la convinzione del Presidente della Repubblica che un voto autunnale avrebbe reso impossibile l’approvazione della legge di stabilità con il serio rischio dell’esercizio provvisorio. Sergio Mattarella, con il suo consueto linguaggio, lo fece capire chiaramente nel messaggio di fine anno quando disse che “è stato importante rispettare il ritmo, fisiologico, di cinque anni, previsto dalla Costituzione”. Nello stesso messaggio inserì l’ormai famoso passaggio sulla “pagina bianca”: “Le elezioni – disse il presidente – aprono, come sempre, una pagina bianca: a scriverla saranno gli elettori e, successivamente, i partiti e il Parlamento. A loro sono affidate le nostre speranze e le nostre attese”.

Non immaginava il caos attuale né, soprattutto, che le speranze e le attese sarebbero andate deluse, visto che in queste ore la Lega di Matteo Salvini e il M5s del capo politico (almeno finora) Luigi Di Maio non stanno raccogliendo l’auspicio di responsabilità che arriva dal Quirinale. Dunque, escludendo che il governo “neutrale” che Mattarella sta per varare possa ricevere la fiducia del Parlamento e governare fino a dicembre, si voterà a luglio o in autunno. Il presidente farà di tutto per scegliere il male minore, cioè luglio, perché sarebbe impossibile varare una legge di stabilità con il voto autunnale con tutte le gravi conseguenze economiche interne e internazionali. Ma anche votare il 22 luglio, prima data utile per motivi tecnici, lascerebbe tempi stretti: nel migliore dei casi, un governo sarebbe operativo nelle prime due settimane di settembre con una legge di stabilità da varare il 15 ottobre.

E poi quale governo? È il rischiatutto di Salvini e Di Maio che lascia perplessi perché nessuno può garantire un’adeguata partecipazione al voto in piena estate. Le recenti elezioni regionali, in particolare quelle nel Friuli Venezia Giulia, hanno mandato segnali chiari: Lega più forte, M5s più debole, perfino con un piccolo recupero di Forza Italia e Pd. Molti neo-grillini delusi non ripeteranno il voto del 4 marzo e alle prossime elezioni politiche molti, forse, non crederanno più al reddito di cittadinanza. Quella pagina bianca citata da Mattarella finora è stata riempita di scarabocchi incomprensibili: non converrebbe a Lega e M5s aspettare pochi mesi, fino a dicembre, dimostrando senso dello Stato, contribuendo a mettere in sicurezza i conti e poi sfidarsi come all’Ok Corral tra febbraio e marzo? No, pensano che non converrebbe perché per qualche mese si interromperebbe la campagna elettorale. Non sia mai.



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