Un unicum in Europa, una svolta un po’ inquietante e l’indicazione di un vuoto politico lasciato anche dalla Chiesa. Con queste parole Alberto Melloni, storico, ordinario di storia del cristianesimo nell’Università di Modena-Reggio Emilia e tra i massimi esperti del Concilio Vaticano II, commenta lo stato della politica italiana dopo il voto del 4 marzo ed il risultato dei cosiddetti “due vincitori” (M5S e Lega). Secondo lo storico, inoltre, l’Italia è un Paese anticipatore di mutamenti socio-politici che si ripresentano, poi, in Europa e a livello globale ed è per questo che la fase attuale necessita di un’attenzione particolare.
Professor Melloni, come si guarda da oltretevere allo stallo post elettorale?
Non lo so. So però che in queste nove settimane di crisi abbiamo visto una situazione che a me è sembrata abbastanza singolare, ossia un grande silenzio da parte dei vescovi. Non è una cosa che sia vista molte volte nel corso della vita repubblicana italiana, per un motivo o per un altro i vescovi hanno spesso espresso delle idee e delle opinioni anche in modo molto marcato. Questo silenzio, quindi, vuol dire una cosa che non mi meraviglia, ossia che in un momento di crisi sistemica come quello attuale, anche i vescovi condividono un dato di frustrazione e di confusione che tutti quanti sentono.
Si tratta di una situazione inedita?
L’Italia è un Paese che, nel corso degli ultimi 100 anni, ha anticipato molte delle movenze politiche di carattere generale, quasi globale, su scala mondiale. Abbiamo inventato il fascismo quando al mondo non c’era neanche l’autoritarismo, abbiamo inventato il centrosinistra prima che facessero il muro di Berlino, abbiamo inventato l’idea di un premier che si qualificava per la sua vita libertina quando Trump faceva ancora grattacieli. Siamo un Paese che in realtà è un grande anticipatore, che non deve copiare dai sistemi “avanzati”. Ma siamo anche un Paese che in questo momento si trova davanti a un problema inedito su scala europea.
A cosa si riferisce?
Su scala europea i partiti lepenisti e populisti hanno favorito i partiti di sistema. Da noi, invece, un partito lepenista come la Lega e un partito populista come il Movimento 5 Stelle hanno guadagnato la fiducia di metà dell’elettorato. È venuto al pettine quello che è stato un grande nodo della storia italiana, e quindi anche un grande nodo della storia religiosa italiana.
Quale?
La Chiesa cattolica non ha mai avuto delle posizioni particolarmente originali, diciamo così, sulla scena nazionale, ma ha sempre avuto la capacità di costruire e di tenere in linea delle figure di riserva. L’ha fatto nel passaggio tra il fascismo e la Repubblica, lo ha fatto nel passaggio tra la Prima e la Seconda Repubblica e molto spesso è stata in grado di trovare le figure che servivano a garantire la tenuta del Paese.
E poi, cosa è successo?
Il cattolicesimo di età ruiniana, invece, non è stato capace di mettere in incubazione delle figure di riserva. Per cui in un momento come questo di grande crisi sistemica sembra quasi che il cattolicesimo romano non abbia figure da offrire, non abbia personalità da mettere in gioco. Questo mi sembra un dato molto rilevante e non si tratta di un giudizio sulla Chiesa, ma di un suggerimento di riflessione su una certa noncuranza che c’è stata sul piano della formazione di responsabilità pubbliche.
Come se ne esce, secondo lei?
Sono processi che non si costruiscono facendo più scuole di politica, ma formando delle coscienze adulte e mature di cui, ultimamente, c’è stata una certa carenza, un certo deficit.
Si tratta quindi di una crisi istituzionale che si ripercuote sulla posizione della Chiesa?
Fino all’ultima presidenza di Napolitano, cioè in regime di vigenza di un sistema elettorale maggioritario, la Chiesa italiana e l’episcopato in modo particolare avevano una specie di pulsante di emergenza che era copiare il Quirinale, mettersi dalla sua parte. Questo pulsante d’emergenza funzionava perché in regime maggioritario il Presidente della Repubblica aveva più margine di manovra e la sua iniziativa poteva forzare un quadro che aveva già delle linee abbastanza delineate. Il ritorno al proporzionale – su cui se non sbaglio non ci sono state particolari strepiti da parte di nessuno – ha fatto sì che anche quest’arma per i vescovi non possa funzionare. Non si può guardare a ciò che fa il Quirinale perché il Capo dello Stato non può far altro che assecondare un processo di aggregazione che non riesce a emergere, ma anzi si disgrega tutto sotto le mani. Mancano, dal punto di vista della Chiesa, le risorse di dialogo che ridimensiona critiche ed adulazioni in una interlocuzione effettiva e vera.
Però si tratta di fronteggiare una novità emersa con nuova legge elettorale…
Questa è una tempesta che in sé non è particolarmente pericolosa o nuova, la cartina geografica delle elezioni del 4 di marzo è la vecchia cartina del referendum del ’46, grosso modo. Non è originale da questo punto di vista, ma originale è il fatto che chi poteva avere delle figure di riserva in tasca, ossia la Chiesa, oggi si trova le tasche piuttosto vuote. Questa è una cosa di cui soffre anche lo Stato.
Il silenzio della Chiesa, come si risolverà? Se si risolverà.
C’è stato in queste settimane, da parte di molti, la convinzione che la soluzione delle cose fosse favorire un accodo fra la Lega e i 5 Stelle con l’idea che constringendoli a governare si sarebbero fatti male, avrebbero perso la verginità, avrebbero spezzato le unghie della propaganda facilona che entrambi i partiti hanno perseguito e che dunque ci sarebbe stato da guadagnare su questo. Il problema della Chiesa non è quello di intervenire sulle formule o meno, ma rendersi conto e forse anche dire che questo tipo di soluzione e formula in realtà costituirebbe dal punto di vista dello scenario europeo una svolta molto importante e anche un po’ inquetante.
Ci può spiegare meglio?
Si andrebbe per la prima volta una saldatura fra sovranismo e populismo che a giorni alterni sembra lontanissima o vicinissima. Ma il fatto che quella via venga perseguita non è una soluzione fra le tante. Quella via è una soluzione che metterebbe rispettivamente gli elettori di Salvini e di Di Maio nella condizione di mettere il loro consenso a servizio di un disegno politico inedito. Dal punto di vista degli equilibri europei è molto pericoloso e secondo me andrebbe guardato con molta cautela, e forse con un po’ di allarme, perché non rappresenterebbe una soluzione politica fra le tante, bensì un’alterazione di parametri fondamentali per il sistema democratico.
Salvini si è scontrato più volte con la Cei, sull’accoglienza ai migranti ma non solo…
Salvini in questo ha qualcosa che ricorda una famosa frase pronunciata da Mussolini alla ratifica dei Patti Lateranensi, quando disse: “Io sono cattolico e anticristiano”. Questo è un po’ l’atteggiamnto e il registro che ha tenuto ed è un registro molto efficace e che paga, perché ha saputo intercettare la pancia di un Paese che è davvero un po’ cattolico e anticristiano. Mi ha colpito, però, che ci siano volute molte settimane perché il presidente della Cei in persona, il cardinale Bassetti, alla commemorazione di De Gasperi del 18 aprile a Roma, sia dovuto intervenire con un’espressione forte e chiara nei suoi confronti, cioè: “Agitare i simboli cristiani come amuleti religiosi” per stigmatizzare quell’utilizzo propagandistico che Salvini ha fatto del rosario e del Vangelo.
Era sbagliato usare la Bibbia in un comizio?
Salvini, che è un uomo politico molto abile e molto acuto, sapeva benissimo che non erano i valori e i principi del cristianesimo e del Vangelo quelli che lui voleva suscitare, ma voleva utilizzare anche la simbolica religiosa del cattolicesimo romano dentro il quadro di una grande somministrazione di paura al Paese e quindi convincere il Paese che si trovi in pericolo e che solo lui rappresenta la soluzione. Perché in realtà “Prma gli italiani” credo che sia uno slogan che può sottoscrivere qualsiasi forza politica in Italia: il problema è se si è capaci di farlo, come e a prezzo di che cosa.
Cosa pensa succederà nelle prossime settimane?
Con Galasso e Cassese abbiamo scritto un volume sui presidenti della Repubblica (“Il colle più alto”, Giappichelli, ndr). Ancora una volta ci rendiamo conto che la figura del Capo dello Stato, che era stato immaginata dai costituenti come una figura strutturalmente molto debole, con pochissimi poteri e competenze limitatissime, in realtà continua a rivelarsi, Presidente dopo Presidente, ciascuno con le sue caratteristiche, un importantissimo presidio di democrazia e oggi costituisce uno dei pochi punti di fiducia sistemica ancora in vita. Per questo penso che la Chiesa non dovrebbe mimare il Presidente della Repubblica ma dovrebbe rafforzare il sentimento che il Presidente della Repubblica rappresenta, cioè che le istituzioni democratiche non sono una cosa qualsiasi che può essere sacrificata, che i valori democratici e i principi costituzionali – quelli pacifisti, egualitari e solidali dei primi articoli della Costituzione – non sono una materia sulla quale si possa accettare qualsiasi posizione, ma sono valori su cui la Chiesa è in grado di manifestare un’affezione e un legame.