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Dai tecnici ai politici, ecco come il contratto di governo Lega-M5S ha cambiato sostanza

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C’era una volta – non molto tempo fa, in realtà – il contratto di governo di Giacinto della Cananea, il professore di Diritto amministrativo e allievo di Sabino Cassese a cui, nelle settimane successive al voto, il MoVimento 5 Stelle aveva affidato il compito di trovare una possibile sintesi con le altre forze politiche. Una bozza di accordo che molti osservatori, in Italia e non solo, avevano giudicato positivamente perché in grado di tenere insieme l’affidabilità internazionale del Paese e la serietà nella gestione dei conti pubblici con la spinta al cambiamento emersa comunque dalle urne il 4 marzo.

C’era una volta, appunto: di quel documento, nel frattempo, sembra rimasto ben poco, come emerge chiaramente dal testo della possibile intesa tra pentastellati e Lega svelato dall’Huffington Post (qui lo scoop pubblicato dal quotidiano online diretto da Lucia Annunziata). “Una versione vecchia”, si sono affrettati a commentare gli estensori, che però non ne hanno affatto disconosciuto la paternità. A conferma che alcuni dei temi affrontati dal contratto rischiano di rimanere sul tavolo delle trattative e, soprattutto, di ispirare le politiche concrete dell’eventuale governo gialloverde che verrà.

Su tutte la questione della moneta, a proposito della quale – si legge nell’articolo dell’Huffington Post – il contratto tra M5s e Carroccio mira a introdurre “specifiche procedure tecniche di natura economica e giuridica” che consentano a singoli Stati di uscire dall’euro e “recuperare la propria sovranità monetaria”, o di “restarne fuori attraverso una clausola di opt-out (rinuncia, ndr) permanente” per avviare un “percorso condiviso di uscita concordata” in caso di “chiara volontà popolare”. Un orientamento distante anni luce dalle rassicurazioni arrivate da Luigi Di Maio in campagna elettorale e poi messe nero su bianco nel documento di della Cananea. Ma lontano pure dalla versione di Matteo Salvini post sconfitta di Marine Le Pen in Francia, dopo la quale il leader leghista ha fatto più di un passo indietro sull’argomento, di fatto senza mai più paventare l’uscita dalla moneta unica, così da arrivare ad avere la benedizione anche degli alleati più europeisti e moderati dell’alleanza di centrodestra.

Semmai, lo spettro dell’abbandono dell’euro sembra rispondere direttamente alla tradizionale convinzione in materia di Beppe Grillo. Che, non a caso, nelle ultime due settimane ha parlato in più di un’occasione, l’ultima in queste ore, della possibilità di un referendum consultivo. E lo stesso si potrebbe dire in merito alla proposta di chiedere a Mario Draghi di cancellare i ben 250 miliardi di titoli di stato italiano che la Banca Centrale Europea deterrà alla fine del quantitative easing. Un’idea certamente appetibile dal punto di vista elettorale – chi non vorrebbe che gli venissero cancellati i debiti – ma davvero difficile, o impossibile, da realizzare che però, per il solo fatto di essere stata ipotizzata, rischia di esporre di nuovo l’Italia alle intemperie dei mercati e alla sfiducia degli investitori e dei partner internazionali.

Con tutte le ripercussioni, anche gravi, del caso. E intanto – mentre si continua a discutere di fantapolitica – le lancette corrono: non è ancora chiaro se il governo tra Lega e M5s si farà ed eventualmente intorno a quale figura e sulla base di quale programma. L’Italia, come ogni altro Paese, ha bisogno di essere governata, possibilmente bene. Ma le politiche – le scelte concrete e le decisioni dell’esecutivo – non sono una questione affatto secondaria, anzi. Gli italiani il 4 marzo hanno scelto il cambiamento, è vero. Ma senza azzardi. Archiviata questa bozza di contratto, definita per l’appunto vecchia dagli interessati, l’auspicio è che quella finale riesca a trovare la migliore sintesi tra le variegate esigenze dei cittadini, dell’interesse nazionale e del contesto internazionale.

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