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Di Maio premier e Salvini al Viminale. Solo così sarà una cosa seria

Nelle frenetiche ore della discussione intorno al governo che dovrebbe nascere occorre tenere la barra dritta su alcuni punti, utili a diradare le molte nuvole all’orizzonte. Ciò vale per l’oggi, cioè la complessa contingenza della chiusura del programma e dell’individuazione della figura di Primo ministro, ma vale soprattutto per il domani, quando la navigazione dell’esecutivo dovrà prendere il largo. È infatti ben evidente a tutti gli osservatori non pregiudizialmente ostili che siamo di fronte ad un progetto di governo non solo molto ambizioso (diversi punti del programma richiedono sforzi di amministrazione molto oltre l’ordinario, soprattutto nel reperimento delle risorse a copertura) ma anche di esplicita “riscrittura” della Repubblica, tanto nei suoi aspetti istituzionali quanto nella sua collocazione internazionale.

Quindi è preciso interesse delle forze in campo, cioè Lega e M5S, fare le scelte giuste, mettere le persone giuste, inviare (dentro e fuori l’Italia) i messaggi giusti. Ed è, tutto sommato, anche interesse nazionale che ciò accada, poiché in caso contrario ci ritroveremmo a commentare un fallimento non privo di rischi ed effetti negativi (se non peggio), vale a dire uno scenario che vorremmo proprio evitare di vedere.

Ecco perché è opportuno partire ragionando di persone, esaurita la fase della facile retorica “siamo tutti uguali”. In politica (ma anche nella vita) la leadership è una cosa seria, quindi Matteo Salvini e Luigi Di Maio hanno un solo modo per chiarire che fanno sul serio: metterci la faccia. Loro devono essere al governo e ci devono stare nelle uniche due posizioni sensate, cioè il giovane leader del M5S a Palazzo Chigi e il capo della Lega al Viminale, meglio se anche dotato del ruolo di vice premier.

Solo così facendo Di Maio potrà gestire i contraccolpi (anche interni al movimento) che verranno ben presto fuori, perché governare non è mai una passeggiata di salute, figuriamoci per una forza politica nata e cresciuta contro tutto e tutti. Solo così facendo Salvini potrà evitare di diventare nel giro di pochi mesi il vero nemico del governo, come invece accadrebbe se lui si limitasse a sostenere “da fuori” l’esperimento, vagando per la penisola come capo-partito mal sopportato dai membri dell’esecutivo, che lo vivrebbero come una minaccia perenne.

Solo così infine la maggioranza giallo-verde manderebbe un messaggio forte, tanto più necessario in presenza di un programma tanto ambizioso, fuori dai confini nazionali, dove è ben evidente l’apprensione con cui si guarda al “barometro” romano.

Ecco, questo tema del contesto internazionale non è meno importante di quello dei nomi e delle facce. L’Italia ha un suo ruolo preciso, nel Mediterraneo, nell’Europa e nella Nato. Un ruolo conquistato e gestito con dignità, pur facendo fronte in più occasioni a turbolenze importanti, come quelle legate alle diverse forme di terrorismo (vecchio e nuovo) o alla complessa vicenda migratoria.

Si può lavorare per cambiare anche in modo robusto le nostre condizioni di partecipazione, ma un fatto è certo: la prospettiva europea è la più importante per il nostro futuro, l’amicizia con gli Stati Uniti è la nostra polizza di assicurazione per navigare nei marosi del XXIesimo secolo. A maggior ragione se si vuole cambiare occorre chiarire che si sta al tavolo del gioco, perché solo così gli altri partecipanti accetteranno di discutere.

Chi vuole ribaltarlo il tavolo può certamente provarci, ma non si attenda contributi amichevoli. Vadano dunque al governo Di Maio e Salvini, lo facciano in prima persona sapendo da dove veniamo e, soprattutto, dove vogliamo andare. Il cambiamento è atteso ed auspicabile, ma ricordino che le avventure velleitarie non hanno mai portato fortuna.

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