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La diplomazia con il vangelo per il bene comune

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“Segretari di Stato” di Pino Esposito è il primo libro che studia le vite dei segretari di stato vaticani. Copre dunque un arco temporale di 4-500 anni. Prima infatti il più stretto collaboratore del papa era sì un cardinale ma temendo di non potersi fidare di nessuno i pontefici favorivano l’ingresso nel collegio cardinalizio di un loro parente, il più delle volte un nipote, e diveniva lui, il Cardinal Nepote, il più importante esponente della curia romana. Forse sta qui la radice del diffuso termine “nepotismo”.

La nascita degli stati nazione ha favorito una profonda riforma, e anche la Santa Sede si è dotata di un servizio diplomatico, di cui il segretario di Stato è divenuto nel tempo l’espressione più alta. Si ricorda che una volta l’ambasciatore spagnolo, entrando in Vaticano, disse al segretario di stato del tempo: “Saluto in lei il più alto rappresentante della prima diplomazia del mondo”: lui, il cardinale Tardini, rispose: “Pensi la seconda…”

Una diplomazia quella vaticana che ha imparato e insegnato a servire nel nome di un programma che non è basato sul bene nazionale, ma sul bene comune. È qui la sua specificità, il suo approccio globale e diverso da quello delle altre diplomazie e che rende l’opera di particolare interesse perché consente di cogliere le diverse interpretazioni e priorità di quel punto centrale che è il “bene comune”. Impostazioni anche confliggenti, ha sottolineato presentando l’opera di Esposito all’Uninersità Lumsa di Roma il professor Alberto Melloni, e che con ogni probabilità hanno avuto nel cardinale Agostino Casaroli la più alta e apprezzata espressione, ai tempi di Paolo VI.

Il cardinale Agostino Casaroli, padre della famosa apertura a oriente, la Ost-politik vaticana, scrisse un libro celebre ancora oggi e intitolato “Il martirio della pazienza”, che può vuol dire sia che la pazienza è stata martirizzata sia che essere pazienti è un martirio. Sullo sfondo ovviamente c’è la grande questione della persecuzione dei cristiani nei Paesi comunisti, nei confronti dei quali il cardinale segretario di stato rifiutò la politica dello scontro, del muro contro muro, nella convinzione che sarebbe stato peggio per tutti, e quindi anche per il bene comune.

Nacque così la più grande tradizione diplomatica vaticana, quella della diplomazia dialogante, di cui è stato geniale interprete il cardinale Achille Silvestrini e che oggi ha nell’attuale segretario di stato, cardinale Pietro Parolin, il miglior esponente.

Ostacolata anche in tempi recenti, guardata con sospetto dagli intransigenti, gli integralisti, questa scuola diplomatica è certamente puntello di un pontificato aperto e dialogante come quello di Francesco. Per questo è stato un vero peccato che il cardinale Parolin, impegnato in prima persona nel disgelo e nella ricerca di un accordo religioso con la Cina, non sia potuto intervenire, come era previsto.



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