Questa volta l’opposizione turca sembra avercela messa davvero tutta per fare vincere Recep Tayyip Erdogan, lasciandolo nel frattempo dormire anche sonni tranquilli. Il prossimo 24 giugno nel Paese ci sarà l’election day, con il popolo turco chiamato a decidere il nuovo parlamento, ma soprattutto il nuovo capo dello Stato. L’opposizione ha pensato bene di schierare quattro candidati. Tutti, tranne l’unico che avrebbe potuto seriamente impensierire l’attuale presidente, che ambisce alla rielezione al primo mandato.
Abdullah Gul, undicesimo presidente della Repubblica turca e l’unico in grado, per carisma, bacino elettorale, possibili disponibilità economiche di rendere meno scontate queste elezioni, è rimasto fuori dai giochi per una serie di veti, ma anche di avvertimenti. L’ex compagno d’armi e di partito di Erdogan, ora lontano anni luce da lui, forse si sarebbe candidato. Sta di fatto che nessuno lo voleva vedere correre. Non lo voleva Meral Aksener, fondatrice dell’Iyi Parti e che con la sua candidatura femminile pensa davvero di poter marcare la differenza alle urne, non lo volevano i laici-repubblicani del Chp, noti per la loro inconcludenza e che fra un loro candidato e uno esterno, ma con qualche speranza, hanno ovviamente scelto il primo, non lo volevano i curdi, che, per la repressione alla quale sono sottoposti dal 2013, fondamentalmente nella politica turca non si fidano nessuno. Fin qua, niente di strano, a parte una tendenza al masochismo politico e una inconscia volontà di sconfitta, che per altro non è nemmeno una prerogativa dell’opposizione turca.
Il problema è che Abdullah Gul nei giorni scorsi, ha ricevuto due visite in seguito alle quali è arrivata la sua dichiarazione di non candidatura. La prima è stata quella di Ibrahim Kalin, portavoce di Erdogan e secondo molti l’uomo di cui il presidente della Repubblica si fida maggiormente. La seconda è quella del Capo di Stato maggiore, Hulusi Akar e questa ha sollevato più di un interrogativo. L’unica certezza è che, dopo qualche giorno di tentennamento, le tre ‘grandi anime’ dell’Akp, ossia il partito di Erdogan, hanno fatto capire che non avevano intenzione di fare fastidio.
Abdullah Gul e Ahmet Davutoglu hanno dichiarato che non avevano intenzione di tornare alla politica attiva, Bulent Arinc ha pensato bene di farsi ritrarre sorridente di fianco al presidente, con il quale in passato ha avuto diversi dissapori, soprattutto dopo che durante le purghe post colpe è stato messo in custodia cautelare suo genero.
In campo, insomma, sono rimasti quelli innocui, ma che proprio a una candidatura non volevano rinunciare. Meral Aksener, che punta a diventare la rivelazione di queste elezioni rischia di non entrare nemmeno in parlamento. Demirtas è in prigione e difficilmente ne uscirà nel breve termine. Il Chp ha pensato bene di schierare Muharrem Ince, giovane ma semi sconosciuto, ma gradito alla componente più conservatrice del partito. Il Saadet Partisi, il Partito Islamico per la felicità, l’ultimo in ordine temporale fondato dal padre politico, poi rinnegato, di Erdogan, schiera il suo segretario, Temel Karamollaoglu.
Nella migliore delle ipotesi, si arriverà al secondo turno, previsto per l’8 luglio. Nella peggiore, Erdogan metterà l’ipoteca finale sulle istituzioni del Paese già il 24 giugno. Con tutte le polemiche, le analisi e i dubbi sulla trasparenza del voto del giorno dopo. Mai una volta che ci si pensi prima.