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Europa e Hamas, il perché di una relazione pericolosa che non aiuterà la pace

Il 14 maggio è la data della Dichiarazione di Indipendenza di Israele, e quest’anno si celebra il Giorno di Gerusalemme, mentre i palestinesi ricordano la Nakba (catastrofe). Quest’anno, in occasione anche dello spostamento dell’Ambasciata americana a Gerusalemme, Hamas ha organizzato la serie di proteste e rivolte note come la “Grande Marcia del Ritorno”, accompagnate da una serie di eventi in tutt’Europa di gruppi più o meno vicini e simpatizzanti di Hamas. Israele ha documentato la violenza delle proteste, che comunque vengono definite “pacifiche”, con ulteriori accuse di indiscriminate violenze contro i civili. L’interesse di Hamas è indebolire l’Autorità Palestinese e conquistare i cuori dell’Europa che da sempre è stata indulgente con l’estremismo islamico e con l’Islam politico.

Hamas è un’organizzazione terroristica e gestisce la Striscia di Gaza come una dittatura teocratica. Tuttavia, agli occhi di molti palestinesi rimane la prima forza in grado di opporsi a Israele, di fronte all’Autorità Palestinese sempre più debole e considerata troppo condiscendente con Israele. Agli occhi di molti occidentali, Hamas rimane un gruppo  politico legittimo, che si batte per i diritti dei palestinesi di Gaza. Il linguaggio del comunicato stampa di Hamas sul 70° anniversario della Nakba in inglese parla di presunti crimini sionisti (pulizia etnica, catastrofe umanitaria e oppressione), mentre quello in arabo parla di martiri, di lotta, di Palestina come terra unicamente araba – un messaggio ribadito anche dal leader di al-Qaeda Ayman al-Zawahiri, che denuncia gli Stati arabi per aver informalmente riconosciuto l’entità sionista, mentre “anche Tel Aviv è musulmana”.

Che le proteste non siano pacifiche è stato ampiamente dimostrato, in particolare tra venerdì e sabato, quando i rivoltosi hanno dato fuoco al gasdotto tra Israele e Gaza e devastato il Passaggio Kerem Shalom – il principale punto di passaggio di beni e merci verso Gaza. Alle numerose tecniche di rivolta urbana, bruciare copertoni, lanciare pietre mentre altri manifestanti reggono bandiere e cartelloni, si aggiungono altre forme di violenza, come il lancio degli aquiloni incendiari verso Israele che hanno già creato incendi di campi coltivati, tentativi di infiltrazione, uso di specchietti per accecare i soldati. Da un punto di vista militare, Israele ha dispiegato alte cariche dell’esercito vicino a cecchini, che potranno sparare solo al loro ordine e su obiettivi che pongono un reale pericolo.

Ma il problema più grande da affrontare è la massa di migliaia di persone che vuole attraversare il confine, e se dovesse riuscire potrebbe dirigersi nei paesi israeliani circostanti e mettere in pericolo gli abitanti. I partecipanti alle rivolte sono spesso attivisti di Hamas, o folle inferocite che si dirigono al confine per combattere i sionisti o gli ebrei. Lo Sheikh As’ad Abu Shari’a ha infiammato gli animi dei palestinesi di Gaza incitandoli a battersi contro gli ebrei “corruttori”, in un sermone rivolto alle masse di manifestanti. Gli stessi messaggi di incitamento ala violenza stanno portando disordini anche nella West Bank, dove però Abu Mazen ha ordinato ai propri servizi di collaborare con Israele per evitare il peggio.

La “Grande Marcia del Ritorno” è l’occasione per Hamas di riconquistare forza presso i palestinesi, indebolire Abu Mazen e legittimarsi agli occhi dell’Occidente. La distruzione del passaggio di Kerem Shalom e del gasdotto non faranno che intensificare la crisi di Gaza, indirizzando la rabbia della popolazione verso l’Autorità Palestinese. Abu Mazen è indebolito per molte ragioni: la limitazione della libertà di espressione, l’oppressione dei critici e degli oppositori, le critiche internazionali per le esternazioni antisemite, la nuova politica di Trump si sommano all’insofferenza di una parte dei palestinesi che lo ritengono troppo mite nei confronti di Israele, e di quella degli abitanti di Gaza  he soffrono delle sanzioni che ha imposto contro Hamas.

In questo scenario, Hamas adotta un altro linguaggio, nella West Bank e in Occidente, per vincere i cuori dei laici oltranzisti e dei diritti umani. Di recente, Hamas ha appoggiato, sia in arabo sia in inglese, il movimento del boicottaggio anti-israeliano, confermando il suo sostegno anche in occasione delle attuali manifestazioni. L’opposizione a qualsiasi riconoscimento di Israele, il progetto di infiltrazione ai confini di Israele e il piano di consolidamento del potere anche nella West Bank si ammantano di una retorica spendibile in Occidente. Il “diritto al ritorno” è presentato come un cardine del diritto internazionale che Israele non riconoscerebbe. Le rivolte sono presentate come manifestazioni di civili oppressi uccisi indiscriminatamente dai cecchini israeliani. La Nakba è presentata come il risultato di un crimine compiuto nel 1948 da “gang sioniste” [sic!] contro la popolazione civile araba.

Parte della nuova strategia di Hamas, definita dal nuovo leader Yahya Sinwar, sta sortendo degli effetti. Le fazioni palestinesi laiche e i movimenti anti-israeliani internazionali si stanno avvicinando a Hamas nel comune intento oltranzista anti-israeliano. Alcune organizzazioni per i diritti umani anche sembrano essersi allineate a questo molto parziale uso del diritto internazionale. Amnesty International propone un embargo di armi contro Israele per l’uccisione e il ferimento illegale di civili palestinesi. Alcuni blog diffondono fake news su proiettili letali inventati dagli israeliani per mutilare i palestinesi.

Una presa di potere di Hamas in un futuro post-Abu Mazen non è improbabile: Hamas ha coltivato una gran parte della gioventù della Cisgiordania nelle università e con una rete di associazioni giovanili. Il sostegno da parte di giornalisti, uomini di spettacolo, intellettuali, oppositori di Abu Mazen e anche esponenti delle Chiese cristiane non fanno che rafforzare Hamas, cambiando la sua immagine da movimento islamista e terrorista a gruppo politico accettabile. Il silenzio verso la violenza orchestrata da Hamas (anche di fronte alle svastiche sugli aquiloni lanciati in Israele) e l’immoderato uso della parola “pacifico” non serve gli interessi dell’Europa, che pur moderatamente ha condannato le parole antisemite di Abu Mazen. Se l’Europa vuole avere un vero ruolo nel processo di pace, anche su posizioni differenti da quelle degli Stati Uniti, dovrebbe arrestare l’ascesa politica di Hamas, soprattutto tra i cuori degli europei.


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