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Iran Deal? È una questione di interesse nazionale. L’analisi di Perteghella (Ispi)

I paesi firmatari dell’Iran Deal – l’accordo che ha congelato il programma nucleare iraniano in cambio del sollevamento delle sanzioni e la riapertura del mercato commerciale per Teheran – si sono visti ieri per la prima volta dopo l’uscita americana. È stato il ministro degli Esteri iraniano, Javad Zarif, a condurre il meeting con Francia, Germania, Regno Unito, Russia e Cina.

Obiettivo dell’incontro: costruire un sistema di protezione per tenere gli affari che questi singoli Paesi hanno già chiuso con l’Iran al riparo dalle sanzioni che l’amministrazione Trump sta via via re-inserendo contro la Repubblica islamica.

È una corsa contro il tempo: il sistema di protezione deve essere messo in piedi, e magari conciliato con gli Stati Uniti, prima di agosto, quando una prima grossa tranche delle sanzioni che gravavano sull’Iran – sollevate a gennaio del 2016 – verrà re-introdotta; una seconda, definitiva, a novembre.

L’aspetto economico è fondamentale, spiega a Formiche.net Annalisa Perteghella, research fellow dell’Ispi dove cura l’Iran Desk: “Dietro alla nuova strategia USA verso l’Iran, annunciata lo scorso 21 maggio dal Segretario di Stato Mike Pompeo, c’è la volontà di strangolare economicamente Teheran allo scopo di aumentare la pressione dal basso sul regime e portarlo al crollo o alla capitolazione nei confronti delle 12 richieste formulate da Pompeo. Solo alla luce di ciò è possibile comprendere la ratio dietro la decisione di Donald Trump di uscire dall’accordo sul nucleare iraniano (un accordo che l’AIEA ha più volte dichiarato funzionante)”

Perteghella, che ha curato il dossier “Usa fuori dal Jcpoa: cosa cambia per l’Italia” insieme alla collega Tiziana Corda aggiunge: “L’uscita americana porterà alla reintroduzione delle sanzioni secondarie verso l’Iran che erano state sospese nel 2016. Ecco perché, se si vuole assicurare la sopravvivenza del JCPOA (acronimo tecnico del deal, sta per Joint Comprehensive Plan of Action, ndr), come l’Europa ha dichiarato di voler fare, è necessario assicurare a Teheran ciò che le era stato offerto in cambio della rinuncia al programma nucleare: ovvero la continuità delle relazioni economiche e commerciali soprattutto con l’Europa (quelle con Russia e Cina sono comunque continuate anche durante gli anni più duri delle sanzioni)”.

Quando parliamo di Europa parliamo anche d’Italia: che significa la mossa trumpiana per Roma? “Per l’Italia, che si prepara ad avere un nuovo governo, è più che mai urgente mettere in atto una strategia per la salvaguardia delle relazioni economiche con Teheran. Questa è interesse nazionale del nostro Paese per due motivi principali: perché può permettere la sopravvivenza di un accordo che ha messo fine a una delle più gravi crisi, quella del nucleare iraniano, degli ultimi vent’anni, e perché tutelare le relazioni economiche con l’Iran significa tutelare le nostre aziende, dalle medio-piccole che alimentano i quasi 2 miliardi di export verso Teheran, alle grandi che hanno firmato con Teheran Memorandum of Understanding (MuO) per l’avvio di grandi progetti per un valore superiore a 20 miliardi di euro”.

Le ventiquattro pagine del report curato per il più importante dei think tank italiani spiegano i numeri del rapporto tra Italia e Iran: “Nel 2017 – spiega Perteghella – l’Italia si è affermata come primo partner commerciale dell’Iran tra i Paesi dell’Unione europea, seguita da Francia e Germania. L’interscambio tra Italia e Iran è cresciuto del 97 per cento rispetto al 2016 arrivando a quota 5 miliardi di euro. In particolare, l’Italia rappresenta per l’Iran il primo partner UE per le importazioni (3,4 miliardi di euro), quasi totalmente nel settore petrolifero, e il secondo partner UE per esportazioni (1,7 miliardi) dopo la Germania (2,9 miliardi). A livello europeo, superando Francia e Germania, nel 2017 l’Italia ha dunque recuperato e superato la quota di interscambio con l’Iran precedente le sanzioni (3,6 miliardi nel 2012), pur non riuscendo a raggiungere il picco del 2011 in cui si superarono i 7 miliardi di euro”.

È interessante tuttavia rilevare che le sanzioni hanno influito sull’interscambio Italia-Iran soprattutto in termini di import, per via dello stop obbligato all’acquisto di petrolio iraniano imposto dall’UE nel 2012; l’export italiano è invece sempre rimasto sopra il miliardo di euro, variando in misura minore rispetto alle importazioni.

Ancora qualche numero per capire perché la questione dell’accordo con l’Iran dovrebbe interessare gli italiani: “Ancora oggi, quasi doppiando il valore dell’export, le importazioni petrolifere ricoprono gran parte dell’interscambio (due terzi). Nonostante nel 2017 l’Italia abbia acquistato dall’Iran una quantità di petrolio superiore rispetto a quella acquistata nel 2011, il minor prezzo del barile ha fatto sì che nel 2017 il valore delle importazioni (e quindi dell’intero interscambio) rimanesse inferiore a quello del 2011”.

C’è un bisogno urgente che il governo prenda posizione e inizi a muoversi, evidentemente. “Tra le linee di azione che è urgente intraprendere vi sono l’attuazione tramite decreto del Master Credit Agreement siglato con l’Iran nel gennaio 2018, sistema che fornirà coperture ai contratti tra Italia e Iran per un valore di 5 miliardi. Poi l’avvio del negoziato bilaterale con gli Stati Uniti per ottenere esenzioni nei settori a noi più cari, e sui quali dal prossimo novembre rientreranno in vigore le sanzioni: petrolchimico, energetico, navale.

Che cosa deve fare Roma come parte dell’Europa? “In parallelo, l’Italia dovrebbe sostenere il processo in atto a livello UE di attuazione di misure per la tutela delle aziende europee dall’azione extraterritoriale delle sanzioni USA (l’aggiornamento del Regolamento di blocco del 1996 e la creazione di un fondo di garanzia destinato a fornire copertura agli investimenti verso l’Iran)”.

Con un esempio concreto, pescato tra i vari: che ne sarà dell’italiana Ansaldo che il 19 ottobre del 2017 ha chiuso un affare da 650 milioni di euro con la Termal Power Plant Holding iraniana per costruire una centrale elettrica di 910MW presso l’impianto di Dezful? L’accordo potrebbe andare avanti perché il sistema multilaterale che ha raggiunto il deal con l’Iran nel 2015 resterà in piedi, sebbene senza gli Stati Uniti, ma il rischio è che Washington includa la ditta italiana, come altre di altri paesi (è un esempio, si ripete, ndr) nelle misure secondarie, quelle per riflesso, che magari impediranno a certe aziende di lavorare liberamente nel mercato americano.

(Foto: i vertici dell’Ansaldo alla firma del MuO con l’iraniana NIOC per l’utilizzo del gas combusto presso la Fase 12 del giacimento di gas South Pars per produrre energia elettrica)


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