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L’Italia è veramente too big to fail?

Di Bart Oosterveld e Andrea Montanino
lega, crisi

Nonostante i fondamentali dell’economia italiana rimangano solidi, l’incertezza politica che avvolge il Paese ha finito per innervosire i mercati. Gli strumenti creati durante la crisi del debito sovrano europeo nel 2009 – come ad esempio il Meccanismo Europeo di Stabilità (Esm – Fondo Salva Stati) – sono insufficienti per soddisfare il fabbisogno di finanziamento del settore statale e del settore corporate italiano per un periodo prolungato di tempo. Se i rendimenti sul debito italiano dovessero salire ulteriormente, interventi come quelli messi in campo alcuni anni fa dall’Esm (e dal suo predecessore, il Fondo Europeo di stabilità finanziaria) in collaborazione con il Fondo Monetario Internazionale (Imf) e la Banca Centrale Europea (Bce) per Grecia, Irlanda, Cipro, Portogallo e Spagna, non sarebbero un’opzione praticabile.

L’Italia di oggi è molto diversa da quella dell’estate 2011. In quel periodo una crisi finanziaria aveva scatenato una crisi politica risolta con la nomina di un tecnocrate, l’ex commissario europeo Mario Monti, come primo ministro. Oggi, l’economia italiana – la quarta economia europea – è più solida. L’export è in piena espansione ed è pari a più del 30% del Pil. Negli ultimi tre anni, gli investimenti privati sono cresciuti a un ritmo del 3% annuo. La fiducia dei consumatori resta alta e il settore bancario nazionale ha registrato anch’esso dei miglioramenti. La formazione di nuovi crediti deteriorati (Npl – non performing loans) è scesa all’1,5% del totale, rispetto al 6% del 2011. Inoltre, come membro dell’Eurozona, l’Italia ha beneficiato di tassi di interesse sui prestiti molto bassi, grazie alla politica molto accomodante della Bce.

La situazione politica, tuttavia, è molto più cupa. L’Italia non ha ancora avuto un governo dopo le elezioni di marzo. La coalizione populista – composta da M5S e Lega – ha proposto un euroscettico come ministro dell’Economia. Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha posto il veto e ha affidato l’incarico a un ex funzionario del Fondo Monetario, Carlo Cottarelli. Se il Parlamento voterà la fiducia a questo governo di transizione le elezioni si terranno poco dopo Agosto. Tuttavia, come sempre nella politica italiana, mai dire mai.

Vista questa incertezza politica, è probabile che i mercati rimarranno ancora molto volatili finche la Lega e il M5S non invieranno un segnale chiaro del loro impegno nei confronti dell’Eurozona. L’accordo di coalizione di Lega e 5Stelle includeva delle proposte di spesa che avrebbero messo in grave rischio le finanze italiane, alimentando ulteriormente il già molto alto debito pubblico. L’accordo prevedeva anche altre proposte assolutamente incompatibili con l’appartenenza all’unione monetaria (come l’introduzione di una valuta parallela). Altre notizie di proposte che erano filtrate, inclusi degli espedienti contabili relativi alla misurazione del debito pubblico, avrebbero con tutta probabilità trovato la ferma opposizione degli altri membri dell’Eurozona.

Sebbene in Europa ci sia la consapevolezza che la governance fiscale dell’unione monetaria abbia bisogno di essere riformata, o almeno semplificata, non c’è ancora un consenso tra i Paesi su quale strada perseguire. Le regole fiscali attuali originano da vari accordi europei e impongono limiti sul disavanzo pubblico annuale (3% del Pil) e sul debito accumulato (60% del Pil) per i membri dell’unione e per coloro che aspirano ad adottare la moneta unica. L’Austria, il Belgio, la Grecia e l’Italia hanno sistematicamente violato la regola del rapporto Debito/Pil al 60%, mentre quella che fissa il deficit massimo al 3% è stata violata opportunisticamente da quasi tutti i Paesi membri, Francia e Germania inclusi.

Allo stesso modo, il lavoro per completare l’unione monetaria con un sistema di trasferimenti fiscali è ancora agli stadi iniziali. Storicamente, i progressi su questo fronte sono stati di solito minimali o del tutto assenti, tranne quando sono stati forzato da una crisi. La Commissione però la scorsa settimana ha fatto un’ importante proposta di cartolarizzazione di tranches di debito sovrano di diversi Paesi della zona euro (Sbbs- Sovereign Bond-Backed Securities).

Nessuno tipo di intervento – né le riforme delle regole fiscali, né il consolidamento istituzionale – sarà completato quest’anno o comunque terrà conto del ciclo politico italiano.

I mercati potrebbero presto costringere i leader europei a tornare al tavolo per gestire una crisi. Delle elezioni in autunno in Italia potrebbero tramutarsi in un referendum sulla permanenza nell’unione monetaria. Di conseguenza, gli sviluppi sui rendimenti dei titoli di Stato dovrebbero essere monitorati con attenzione nei prossimi giorni.  La situazione potrebbe degenerare molto velocemente, trasformando una crisi politica in una finanziaria che i policy-maker farebbero molta fatica a controllare.

(Traduzione a cura di Stefano Cabras)

(Articolo pubblicato su Atlantic Council)



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