Sembrerebbe (il condizionale è d’obbligo) che alla fine i nodi della bislacca procedura, seguita per la formazione del governo, stiano venendo al pettine. A Sergio Mattarella il compito di sbrogliare una complicata matassa, riportando il tutto nell’alveo del rispetto dei principi costituzionali. Non sarà comunque facile. A ottanta giorni dalle elezioni, è difficile intervenire su quel “legno storto” dei passi finora compiuti. Vi sarà comunque un periodo di riflessione, durante il quale saranno coinvolti i vertici delle due Camere, onde individuare posizioni il più possibile condivise.
Nel frattempo l’Italia è entrata in una fase di turbolenza atmosferica, dovuta al ristagno di una vasta area di bassa pressione: foriera di temporali e rovesci dagli esiti, al momento, imprevedibili. Mercati in agitazione, con la Borsa che si muove in controtendenza rispetto alle altre piazze finanziarie europee. Gli spread sui titoli di Stato che ballano. In apertura di seduta erano, fortunatamente, tornati sotto quota 180. Vedremo come evolverà la giornata. Resta comunque un’atmosfera carica di attese, proprio per le decisioni che assumerà il Presidente della Repubblica.
Ugualmente agitate le acque europee. Con gli europeisti (Francia e Germania) che non hanno esitato a manifestare dubbi e riserve. Ed i movimenti populisti (da Marine Le Pen a Nigel Farage) che esultano. Considerando la formazione del nuovo governo una loro, seppure indiretta, vittoria. Sullo sfondo resta la Russia di Putin, che incassa riconoscimenti preziosi, specie per quanto riguarda la complessa situazione del Medio Oriente. Insomma: l’Italia al centro di uno scontro che va oltre i suoi confini naturali e determina una frattura nei tradizionali equilibri. Ma anche il suo relativo isolamento.
Era quindi inevitabile che una situazione così complessa avesse una ricaduta immediata sui principali organi d’informazione. Le Monde e Le Figaro, da un lato, il Guardian dall’altro, nella speranza che la Brexit, finora fatto anomalo nella storia europea, potesse fare proseliti. Ma è soprattutto il Financial Times ad entrare nel merito delle questioni. Duro, forse troppo duro, il giudizio sul candidato alla presidenza del Consiglio. “Political novice Giuseppe Conte proposed as Italy’s Pm”: questo il titolo d’apertura che prende di mira il candidato. Un “principiante”, finora vissuto lontano dai riflettori, catapultato nello snodo istituzionale più delicato, in un momento particolarmente complesso della vita italiana.
Sergio Mattarella, al termine dell’ennesima consultazione con le due forze politiche che comporranno la maggioranza, ha giustamente ammonito circa l’importanza dell’articolo 95 della Costituzione. Da noi stessi ricordato proprio su Formiche.net (“Vi spiego perché è così difficile scegliere un premier terzo”). “Il Presidente del Consiglio dei ministri dirige la politica generale del governo e ne è responsabile”. Non gli si richiedono competenze particolari – meglio se ci sono – ma quelle caratteristiche che fanno della sua attività il mestiere più difficile del mondo.
Giuseppe Conte è un ottimo accademico. L’esperienza insegna, tuttavia, che quando i professori “salgono in politica”, come diceva Mario Monti, non è detto che le scelte conseguenti siano le migliori. In genere sono portati a seguire un indirizzo, più che a determinarlo. Ed ecco allora che le critiche del Financial Times assumono un aspetto diverso. Alla possibile guida del governo italiano sarà posto un avvocato civilista. Esiste una qualche relazione con il “contratto per il governo del cambiamento”? Sarà, in altre parole, chiamato a garantire il rispetto delle relative clausole e dirimere eventuali contrasti? O sarà in grado di determinare quell’indirizzo che la Costituzione gli assegna?
Se fosse il primo il suo ruolo prevalente, saremmo veramente approdati nella terra incognita della Terza Repubblica, come ripete con enfasi Luigi Di Maio. Il “contratto alla tedesca” rappresenterebbe una novazione straordinaria nelle prassi costituzionale italiana. Con il Parlamento ridotto a semplice notaio di una volontà maturata altrove e codificata in un vero e proprio contratto di natura privatistica. Un accordo che pone un vincolo stringente nei confronti del Parlamento, non più libero di esercitare la pienezza delle sue funzioni. Come organo della sovranità popolare.
Vale allora la pena riflettere su come sia cambiata la prospettiva in corso d’opera. Il “contratto alla tedesca” voleva preservare la purezza del Movimento 5 stelle. Non un’alleanza, ma una semplice intesa per dare un governo al Paese. Con il trascorrere dei giorni tuttavia, esso ha soppiantato ogni altra regola costituzionale: per divenire l’asse programmatico del nuovo Governo: ancor prima del voto di fiducia del Parlamento. Con una limitazione funzionale all’attività di qualsiasi ministro, specie se vi saranno dei tecnici a presidiarne le aree più sensibili. Non è una novità da poco. Densa di possibili conseguenze che potrebbero colpire al cuore le regole stesse di una democrazia rappresentativa.