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Deconfessionalizzare il conflitto. La realtà politica del Medio Oriente

pallavicini, gianfranco fini

Davanti a un Medio Oriente lacerato come quello di oggi, dove pochissimi si dimostrano capaci di non perdere la bussola e quasi tutti seguono l’istinto di dividere i grandi attori di questa immensa tragedia in buoni e cattivi, il convegno promosso dai radicali su Medio Oriente e Iran ha rappresentato certamente una boccata d’aria pura, anche se il rischio dello schematismo non poteva non esserci, vista la conclamata assenza dell’Europa e lo slittamento spesso e volentieri a livelli di propaganda di basso conio verso uno degli attori più astuti di questa tragedia, il regime degli ayatollah.

È toccato ai due ospiti sunniti, l’ambasciatore del Marocco e il presidente della Coreis, la Comunità Religiosa Islamica, Yahya Pallavicini, richiamare tutti all’urgenza di distinguere e deconfessionalizzare un conflitto tutto politico. L’ambasciatore Hasan Abou Ayoub ha esordito dicendo che non esiste alcun conflitto tra sunniti e sciiti. Questo punto d’avvio nel suo ragionamento è stato molto importante perché ha dimostrato come un paese coinvolto nella contesa, avendo espulso l’ambasciatore iraniano, sappia deconfessionalizzare il problema e il conflitto, riconducendolo alla sua vera essenze, i calcoli di interessa, nazionale o imperiale, dei soggetti coinvolti. Questi calcoli oggi coinvolgono enormi interessi economici e anche enormi attori che non sono soltanto quelli normalmente citati, coinvolgendo ampiamente la stessa Cina, che ormai è partner di primaria importanza dell’Iran e arriva in tutta l’Africa. L’espansionismo cinese si affianca ma non si accavalla a quello russo, Paese che pur figurando come alleato dell’Iran non ha passato alcuna informazione ai suoi supposti alleati, pur potendolo fare, prima dei recenti attacchi israeliani alle base iraniane in Siria. Un motivo ci sarà stato. Quale non lo ha detto, ma lo si evince dal calcolo finale; la Russia ormai controlla la fascia costiera siriana e ha ottenuto importanti concessioni petrolifere in Libia, l’Iran espande la sua influenza verso il Mediterraneo e la Cina è già sia in Iran sia in Africa. Ovvio chiedersi, dopo aver ascoltato l’ambasciatore Abou Ayoub, quale sia la strategia europea.

I rischi non sono pochi, ma è stato Yahya Pallavicini a condurre per mano l’uditorio a cogliere il rischio. In precedenza infatti si era finalmente detto che in Iran le proteste antigovernative proseguono, in tantissime città, con giovani e non più tanto giovani che sfidano un sistema brutale denunciando l’enormità dell’investimento statale per la guerra in Siria e l’esiguità dell’investimento statale per gli iraniani. Dunque non è vero, ha osservato il sunnita Pallavicini, che ci sono i cattivi sciiti contro i buoni sunniti. Ragionamento che potrebbe portare a preferire regimi formalmente non religiosi, ma ugualmente vessatori nei confronti di chiunque li avversi. Il problema è uscire dalle narrative che confessionalizzano la violenza, la politica di potenza, il bene e il male, e riconoscere che le società complesse sono costituite da tutti i contraenti il patto nazionale.

All’ambasciatore Terzi di Sant’Agata, che con accuratezza aveva ricordato come sin qui l’Europa abbia oscurato la voce del popolo iraniano, tutta presa dalla tutela un po’ miope di qualche investimento mentre gli altri progettano la ridefinizione del Mediterraneo, l’ambasciatore marocchino ha sottolineato che dopo i recenti sviluppi, per evitare guai peggiori, l’Europa farebbe bene a concentrarsi sul problema Israele-palestinese, che ha bisogno di un nuovo facilitatore, per contrastare chi vuole usare quell’arena per completare la radicalizzazione del conflitto. Yahya Pallavicini ha nei fatti convenuto osservando che i buoni e i cattivi sono ovunque: e avversare chi intende gestire una politica militare espansionista non può passare per l’avallo di chi ha comportamenti quanto meno allarmanti, come a sua avviso Trump, con un implicito riferimento almeno al Muslim Ban.

All’incontro sono state fornite finalmente letture approfondite e non afflitte da antagonismo ideologico, come quella dello studioso di geopolitica Lucio Tirinnanzi, che ha fotografato il disastro umanitario in Siria nel calcolo territoriale delle grandi potenze regionali presenti nel teatro siriano e che procedono a passo spedito verso una cancellazione della Siria dalla cartina della realtà politica del Medio Oriente. L’azione delle milizie khomeiniste ha fatto da sfondo al suo racconto. Alla fine l’impressione del cronista è stata che da una parte occorrerebbe più informazione e meno racconto ideologico, magari venato di antiamericanismo, per formare le nostre opinioni pubbliche e capire che la propaganda dei mullah, avversata da tanti iraniani in carne e ossa nelle strade di Tehran e non solo, richiede innanzitutto una deconfessionalizzazione dello scontro, pena il rischio di confessionalizzare il confronto anche da noi.

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