Gli scenari sono ancora aperti, le forze politiche stanno dialogando e sono possibili ancora ultimi ed estremi margini di trattativa per la formazione di un governo politico. Tuttavia, le strade tracciate dal Capo dello Stato Sergio Mattarella nel suo discorso di ieri sera prevedono, in caso di un mancato accordo, la nomina di un premier esterno, la formazione di un governo di servizio che traghetti l’Italia verso nuove elezioni, ma non prima di aver messo al sicuro incombenze come la legge di bilancio evitando così l’esercizio provvisorio. L’Italia si trova ad affrontare, quindi, una situazione inedita, e non per le procedure che sono dettate dalla Costituzione, ma perché – spiega il professor Vincenzo Lippolis a Formiche.net – si potrebbe arrivare alla formazione di un governo del Presidente che rischia di non avere la fiducia del Parlamento proprio in funzione del mancato accordo delle forze politiche che lo compongono.
Professor Lippolis, quali passi aspettano la prossima formazione del governo del Presidente?
I passaggi non sono diversi da quelli per la formazione di qualsiasi altro governo. Mattarella dovrà dare l’incarico oppure nominare direttamente il premier, poi su proposta di quest’ultimo i ministri. È chiaro che essendo un governo di emanazione presidenziale probabilmente l’influenza del Capo dello Stato si farebbe sentire anche sulla rosa di ministri. Il governo, poi, dovrà presentarsi alle Camere per ottenere la fiducia entro 10 giorni, come dice l’art. 94 della Costituzione. La particolarità non è nella procedura, che resta identica, ma nella composizione della governo.
In che senso?
Voglio dire che il fatto che il presidente del Consiglio non nasca da un accordo tra i partiti, ma scelto direttamente – e in solitudine – dal Capo dello Stato porterebbe a un governo che nasce senza avere una maggioranza certa in Parlamento, esposto dunque al rischio di essere subito bocciato al momento della fiducia.
Se il governo non dovesse ottenere la fiducia, si andrebbe a elezioni. Quali sono i tempi necessari per andare di nuovo al voto?
Tutto dipenderebbe dallo scioglimento delle Camere. Da quando il Presidente della Repubblica firma il decreto di scioglimento, si dovrà andare al voto entro 70 giorni. Il vero problema sarebbe, in realtà, il voto degli italiani all’estero, perché il regolamento fissa un termine di 60 giorni che servono al ministero dell’Interno per gli adempimenti che garantiscono il voto dei cittadini che non risiedono in Italia. È pur vero che questo termine potrebbe anche essere modificato con un decreto legge, ma bisogna vedere però se quei 60 giorni sono effettivamente necessari al ministero per garantire il voto estero oppure è un termine che può essere compresso.
Un governo dimissionario e un Parlamento sciolto. Come andrebbe avanti la “macchina Italia”?
Il governo, se non ottenesse la fiducia, si troverebbe nelle stesse condizioni del governo Gentiloni, e procederebbe portando avanti quella che viene definita “ordinaria amministrazione”. Non si può escludere, e bisogna stare attenti, che anche il governo dimissionario possa affrontare temi urgenti né si può escludere che rappresenti l’Italia se ci fossero scadenze internazionali. Sarebbe pienamente legittimato a prendere decisioni in sede europea, come quelle che si avvicinano e che anche il Presidente Mattarella ha sottolineato. Il problema è, come dicevo prima, politico, perché un governo che non ha la fiducia del Parlamento può apparire ai partner europei meno autorevole di un governo che sia nel pieno delle sue funzioni.
Nelle scorse settimane sono state nominate le Commissioni Speciali. Restano in carica?
Le Commissioni Speciali possono restare in vita, ma è difficile capire cosa riusciranno a fare, se non c’è una maggioranza che ne guida i lavori. Se interviene subito lo scioglimento, il Parlamento è depotenziato e la sua attività sarà principalmente di controllo delle attività del governo e conversione di decreti legge. Salvo i termini che impongono un’attività di carattere straordinario, sia l’esecutivo che gli organi legislativi sono fortemente depotenziati dalla mancanza della fiducia.
Si tratta di una crisi politica e istituzionale inedita, nella storia dell’Italia repubblicana?
Finora non si era mai verificato che una legislatura non partisse, non si era mai verificato che i Presidenti promuovessero governi che non ottenessero la fiducia. In tre occasioni è accaduto qualcosa di simile, con due governi Andreotti e un governo Fanfani, durante la cosiddetta Prima Repubblica. Ma anche in quei casi, c’era però la volontà da parte delle forze politiche di arrivare a un accordo. Indubbiamente un diniego così immediato all’ipotesi fatta dal Presidente della Repubblica come quella delle forze politiche attuali non si era mai verificata, ma voglio aggiungere un’ultima cosa.
Prego.
Le forze politiche non sono obbligate a fare necessariamente quello che dice il Capo dello Stato, il problema è che non si riesce a trovare una sintonia né tra le forze politiche né tra queste e le vie tracciate dal Presidente della Repubblica, che è giustamente preoccupato di quello che può accadere in autunno, ossia l’approvazione della manovra finanziaria e il bilancio. Se si dovesse votare a luglio, i tempi per la formazione del governo metterebbero a rischio il processo normale di approvazione del bilancio col rischio dell’esercizio provvisiorio. Se, invece, il governo del Presidente ottenesse la fiducia potrebbe arrivare, intanto, pienamente legittimato al vertice europeo di giugno, poi avrebbe il tempo di fare la manovra finanziaria a fine anno e dare le dimissioni.