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Uniti alla metà. La calma del Pd prima della tempesta

politica, pd, toscana,

Nulla di fatto. Anche la tanto attesa direzione del 3 maggio del Pd si è trasformata da possibile resa dei conti nel consueto voto unanime. Un grande classico del Partito democratico: vigilia di tensioni, notte di trattativa e (finta) unità, con il risultato di rimandare la soluzione dei problemi e dei contrasti alla prossima occasione.

Infatti, come si è capito sin dalle prime battute della direzione odierna, le varie anime democratiche hanno trovato un accordo votando all’unanimità la relazione del segretario reggente Maurizio Martina. Una relazione che chiude ogni possibilità di appoggio ad un governo a trazione grillina o leghista, ma che, contemporaneamente, conferma piena fiducia al segretario reggente almeno fino alla prossima assemblea Nazionale. È stato lo stesso Martina, prima del voto finale, a chiedere un voto solo sulla sua relazione, invitando e ottenendo che entrambi gli schieramenti rinunciassero a presentare altri documenti o ordini del giorno.

Evidentemente, per usare il gergo calcistico, il gruppo dirigente del Pd ha “mandato la palla in calcio d’angolo” preferendo evitare di affrontare ora una conta che avrebbe dilaniato il partito, rimandando la risoluzione dei contrasti, che pure permangono, alla prossima assemblea. E proprio la data dell’assise democratica potrebbe diventare un nuovo momento di mediazione tra renziani e antirenziani: l’unica certezza, secondo quanto affermato da Lorenzo Guerini, è che si dovrebbe tenere enten la fine del mese.

Gli obiettivi dei due schieramenti, paradossalmente, potrebbero non cambiare da qui a fine maggio. La tentazione dei renziani rimane quella di sostituire Martina, reggente di cui evidentemente da tempo non si fidano più; dall’altra parte, lo scopo è quello di “liberare il Pd dal giogo renziano”, mettendo l’ex segretario in minoranza nel partito. Obiettivo, quest’ultimo molto difficile da raggiungere, visto che Renzi ha il controllo totale dei gruppi parlamentari e dell’Assemblea nazionale.

Dovrà essere proprio l’assemblea nazionale a decidere i prossimi passi del partito democratico: difficilmente verrà eletto un nuovo segretario in quel contesto, più facile che si avvii un percorso congressuale i cui tempi potrebbero essere comunque influenzati dall’esito della crisi istituzionali; è chiaro che se si dovesse tornare al voto in tempi brevissimi, magari in autunno, il Pd non potrà in alcun modo permettersi di avviare il lunghissimo percorso congressuale (che prevede prima il voto degli iscritti e poi il voto degli elettori alle primarie).

Il campo degli anti renziani, che oggi sembra uscire sconfitto, sovrastato dalla forza dei numeri dell’ex segretario (“Renzi domenica ha spoilerato l’esito della direzione di oggi” scherzava un deputato renzianissimo al Nazareno), pensa di aver un alleato nel fattore tempo. Più passa il tempo più, secondo alcuni di loro, l’ex sindaco di Firenze potrebbe perdere alleati e sostenitori. In molti dalle parti di Franceschini e Co. sono convinti che, anche a causa del suo carattere e della sua abitudine a giocare da “centravanti di sfondamento”, Renzi non potrà che inasprire ulteriormente i rapporti personali e politici con esponenti democratici che ancora oggi lo sostengono. “Basterebbe l’abbandono di un big tra i renziani, e il resto verrebbe da se, sarebbe una valanga” spiega qualcuno dell’ala governista, immaginando una sorta di diaspora renziana da compiersi nei prossimi mesi.

Un’ipotesi che, pur con qualche fondamento di realtà, rischia per ora di scontrarsi contro la solidità dei numeri degli organismi del partito, e con la possibilità che la crisi istituzionale precipiti verso le urne già ad ottobre, interrompendo di fatto il logoramento a cui Renzi, secondo i suoi avversari interni, sarebbe sempre più sottoposto.


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