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Perché serve un nuovo Pdl per far ripartire il centrodestra. L’opinione di Mario Mauro

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Alla prossima tornata elettorale, il centrodestra può facilmente raggiungere il 40% dei consensi, se riuscirà a unirsi in una casa dei popolari moderati come fu il Popolo delle libertà guidato da Silvio Berlusconi. Ne è fermamente convinto Mario Mauro, presidente del partito “Popolari per l’Italia”, che lo scorso 22 aprile ha visto la sua lista raccogliere oltre 10mila voti, portando il candidato del centrodestra alla guida della Regione Molise, assieme a Forza Italia, Orgoglio Molise, Lega, Udc e Fratelli d’Italia.

Un punto di partenza per il futuro del centrodestra, dunque, può venire proprio dalle consultazioni regionali in cui le forze moderate, secondo l’ex ministro della Difesa, hanno avuto e hanno tutt’ora la capacità di dialogare con gli alleati storici – come la Lega di Salvini – trovando punti di incontro su cui poi basare il governo del territorio. L’obiettivo di un centrodestra unito, spiega Mauro in una conversazione con Formiche.net, devono essere le prossime elezioni europee, ed è proprio alla costruzione della casa dei popolari europei che si deve guardare per rafforzarsi, in Italia come in Europa.

La lista “Popolari per l’Italia” ha fatto un risultato importante. Cosa è cambiato rispetto al 4 marzo?

Su questo sono molto netto, dal mio punto di vista l’errore madornale fatto alle politiche è stata la creazione della quarta gamba.

Cosa intende?

È stato un errore madornale perché Forza Italia sapeva di essere impegnata in un processo per la definizione del candidato premier che vedeva l’accordo con la Lega secondo cui chi avesse preso un voto di più avrebbe poi indicato il presidente del Consiglio e dato l’orientamento politico alla coalizione. Ecco, mi sarei aspettato, avrei auspicato e mi sono fortemente battuto perché ci fosse sostanzialmente un processo politico che portasse a un nuovo Pdl, cioè a una realtà in cui l’orizzonte politico dei moderati fosse condiviso. Invece, di fatto, la nascita della quarta gamba non solo ha sottratto voti alla lista di Forza Italia rendendo più agevole il compito per Salvini, ma ha anche confinato l’opzione centrista in una sorta di “bad company” che se da un lato poteva tranquillizzare la parte meno lungimirante della classe dirigente di Forza Italia – perché non avrebbero dovuto coabitare con vecchi compagni di cammino – dall’altro ha sterilizzato le potenzialità di una lista di quel genere. Voglio essere chiaro una volta di più: secondo me, soprattutto per come stanno andando le cose adesso, ciò che ci si aspetta è che Forza Italia, o comunque chi si intesta il rapporto con i Popolari europei e quindi con l’area non sovranista e non populista dello schieramento, sia capace di mettere insieme piuttosto che di dividere. Questo è un errore che può essere pagato molto caro nelle coalizioni di centrodestra italiane se non si capisce l’importanza strategica di aprirsi a 360°.

Il centrodestra italiano deve quindi ripartire dal Ppe e allontanarsi dai sovranisti?

Le forze sovraniste fanno benissimo a fare quello che stanno facendo, e lo fanno egregiamente, dopo di che è chiaro che con loro c’è la possibilità di condividere un percorso, peraltro acclarato dal fatto che da anni governiamo molte regioni insieme e abbiamo una storia comune. Io faccio riferimento, invece, a quella che una volta era un’area di consenso quella che ha trovato nella forma del Popolo della libertà la sua sintesi sotto la guida di Berlusconi e che da molti anni a questa parte si è frazionata.

Un ritorno al partito unico?

Io sono molto del parere che al di là di quelli che possono essere state divergenze politiche e dissapori, magari anche personali, oggi si abbia la lungimiranza di proporre, soprattutto alle nuove generazioni, un cammino condiviso. Inviterei tutti quanti, soprattutto chi in questo momento guida Forza Italia, a proporsi con capacità federative piuttosto che lasciare che ognuno cerchi in proprio la sua strada. Spero che queste parole vengano ascoltate, perché abbiamo appuntamenti importanti davanti a noi. Penso, per esempio, non solo all’ipotesi che si replichi con le politiche, ma un appuntamento già certo come sono le elezioni europee.

A proposito di elezioni europee, lei si presenterà con la lista di Popolari per l’Italia?

Noi avevamo cominciato un percorso di federazione con Forza Italia che ci era stato garantito da chi ci aveva invitato a rientrare nel gruppo di FI al Senato, l’allora presidente del gruppo Paolo Romani. Dopo di che nel momento della definizione delle liste per le politiche, essendoci rifiutati per le ragioni che ho spiegato di far parte di progetti che ci son sembrati nebulosi come quello della quarta gamba, c’è stato un momento di stasi di quello che sembrava un progetto di ricomposizione. Ora torno a insistere sul fatto che sicuramente è a Forza Italia che spetta il compito di rielaborare i contorni di un progetto comune. Noi siamo del parere che la sezione italiana del Ppe non vada fatta stando ognuno a casa sua, ma mescolandoci.

In questa visione europeista del progetto del centrodestra, come ci si pone con la Lega di Matteo Salvini?

Salvini è stato molto chiaro su questo punto, perché più volte ha ribadito che loro non sono contrari di per sé al progetto europeo, e questo secondo me li distingue molto dalla francese Le Pen. Loro sono semplicemente insoddisfatti di come questo progetto è portato avanti e direi che in questo hanno tratti in comune con molte realtà presenti nella famiglia Popolare europea, prima fra tutti Fides di Viktor Orban. Penso che ci siano tutti gli elementi per poter dialogare con forze come quella di Salvini e ancor più con quella di Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia. Sta a noi capire fin dove vogliamo spingere i contorni di questo progetto di centrodestra unito, se mantenerlo in un ambito di collaborazione comunque già proficuo come quella dei governi locali, estenderla come abbiamo detto in campagna elettorale al governo nazionale, o addirittura lanciare la prospettiva di una riconsiderazione degli scenari europei anche da parte della Lega.

Come vede, spostandoci sulla situazione nazionale, lo stallo sulla formazione del governo?

Sono sempre molto impressionato dalla capacità suicida della politica italiana. Nel senso che ormai si procede non più per propri meriti, ma per gli errori degli altri. E in questa fase sicuramente i 5 Stelle ci ahnno messo qualcosa di loro perché una strategia improntata sull’idea “O io o niente” non poteva che portare questi frutti. In questo momento hanno sancito il proprio isolamento, e il modo con cui si approcciano al tema del ritornare subito alle urne mi sembra a dir poco infantile, sapendo che anche i termini regolamentari per un voto in estate sono già ampiamente trascorsi.

Cosa è mancato in questi mesi di contrattazioni?

È mancato un dialogo vero, qualcosa che deve giocoforza prescindere dai veti. Se c’è il veto non c’è dialogo, se c’è dialogo c’è volontà di roconoscere la realtà. La realtà è data dal fatto che con una legge che favorisce la nascita delle coalizioni, una coalizione arrivata prima (quella di centrodestra) e un partito arrivato secondo, solo superando i veti reciproci è possibile partorire un governo.

Modello Molise anche per il futuro del centrodestra, dunque?

Secondo me il centrodestra alla prossima tornata delle politiche può facilmente raggiungere il 40%, ma a un condizione: che come è stata bene individuabile l’ala sovranista in questa tornata, sia bene individuabile anche l’ala popolare e moderata. Quindi il mio invito, e lo ribadisco, è a produrre i termini di un’accordo che porti alla nascita di un nuovo Pdl facendo sentire la famiglia popolare europea in Italia nuovamente riferimento del voto moderato italiano.

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