Silvio Berlusconi rappresenta un pezzo dell’autobiografia dell’Italia, non solo per il suo ruolo politico, ma per la sua capacità di riadattare l’offerta politica ad ogni cambiamento culturale che ha attraversato l’Italia. Salvini e Di Maio? Sono, in modo diverso, prodotto del berlusconismo culturale, che ha modificato il racconto della politica e della società, da quando Berlusconi ha deciso, nel ’94, di scendere in campo. All’indomani della notizia, pubblicata in anteprima dal Corriere della Sera, della riabilitazione del fondatore di Forza Italia, che si traduce nella sua candidabilità, Formiche.net ha parlato con Massimiliano Panarari, docente della Luss Guido Carli, consulente di comunicazione politica e pubblica, e specialista di scienza dell’opinione pubblica e sociologia della comunicazione, per capire gli effetti dell'”immortalità” di Berlusconi e dell’eredità politico culturale raccolta dalle altre forze politiche, compresi Movimento 5 Stelle e Lega.
Professore, Silvio Berlusconi è immortale?
Silvio Berlusconi è politicamente una sorta di highlinder che attraversa una stagione lunghissima della politica italiana, in diverse fasi. Dal punto di vista politico è un segnale del fatto che, anche in questa fase finale, Silvio Berlusconi è ancora presente perché rappresenta un pezzo dell’autobografia della nazione e perché ha saputo anche ridefinire la sua offerta politica in relazione al cambiamento del contesto e del sistema politico. C’è una sua capacità riadattativa che è un pezzo della sua immortalità.
Cosa intende?
Questa lunghissima presenza sullo scenario politico è legata anche alla sua capacità di essere un fantasista. Ripensando al profondissimo intreccio che c’è tra la società dello spettacolo, che Berlusconi ha saputo tradurre in politica in varie manifestazioni, e la sua personalità istrionica, sono una delle ragioni di questa immortalità. Berlusconi è stato capace di adattarsi e mutare, anche parzialmente, la sua offerta in relazione al cambiamento dello scenario e del contesto sistema politico. Possiamo dire, con una metafora, che Berlusconi è come un grande e fenomenale cabarettista che cambia il repertorio a seconda delle circostanze e in questo c’è la sua vitalità, registrata anche da Sorrentino nel suo film. È chiaro che la spinta propulsiva del berlusconismo politico si è arrestata, la parabola è discendente anche per ragioni puramente anagrafiche, però c’è la sua capacità di saper sfruttare ogni frangente e, nel corso di questo lunghissimo match di pugilato che è la sua esistenza, anche quando sembra messo nell’angolo di riuscire a trovare qualche colpo.
La riabilitazione politica è uno di questi?
In questo caso non sarà il colpo dell’uppercut, nei confronti del suo competitor del centrodestra, però la riabilitazione giudiziaria lo rimette in partita e adesso il tema interessante da osservare sarà se la sua offerta politica, verrà ingigantita nei termini di un posizionamento più moderato.
Berlusconi, in effetti, ha saputo cambiare il suo posizionamento nel corso degli anni di attività politica…
È stato populista sempre, però a volte ha fatto propria un’agenda di centrodestra più liberale, altre volte ha sdoganato la destra estrema, è riuscito a porsi come interlocutore dei moderati ma non è mai stato davvero un moderato. È stato anche un estremista di centro, mentre l’ultima fase ha cercato di caratterizzare la coalizione di centrodestra come la parte più responsabile e quella dell’ancoraggio europeo, ad esempio tramite Antonio Tajani scelto come interlocutore con il Partito popolare europeo. In questo è stato la parte di sistema, nella coalizione, dopo aver utilizzato, a partire dal 94, la dimensione antisistemica e antiestablishment, grande paradosso che lo accomuna a Trump. Il punto è adesso cosa farà.
Ha qualche idea in merito?
La sua vitalità politica consente al gruppo dirigente di Forza Italia di rilanciare la sua personalità. C’è da capire cosa succederà alla parte del partito che, soprattutto nei territori, era prossima allo smottamento e al passaggio all’interno della Lega. Dal punto di vista della strategia e dell’identità politica, invece, ci sono due possibilità: si potrebbe posizionare all’opposizione come interlocutore dell’Europa, oppure scegliere di stare accanto al suo alleato. Quello che può fare sicuramente, però, è giocare di sponda, perché la spinta propulsiva si è esaurita, ma non è alle corde come si pensava qualche giorno fa.
Il Movimento 5 Stelle è la forza politica che più si è opposta a Berlusconi, ma quanto ha influito la sua figura, anche nella campagna elettorale dei pentastellati?
Se il berlusconismo politico ha terminato la sua spinta propulsiva da tempo, nonostante lui si spenda e si sia speso tantissimo anche in questa ultima campagna elettorale, invece il berlusconismo culturale e sottoculturale ha riscritto le regole della comunicazione politica in maniera totale. Ancora oggi noi siamo in un orizzonte mediatico-politico, comunicativo, che non si sarebbe dato se non con la svolta berlusconiana.
Ci spieghi meglio.
Il berlusconismo culturale è la declinazione del post-modernismo, della post-modernità in Italia. Lui ha interpretato, e non a caso stiamo parlando degli anni ’90, la rifondazione della comunicazione politica, trasferendo nella politica la media logic delle televisioni commerciali. Ma dopo questa applicazione di una logica mediale alla politica, nulla è più stato come prima. Il grillismo è figlio del berlusconismo. Lo stesso renzismo, soprattutto in una certa fase, non è pensabile se non con le caratteristiche che derivano dal berlusconismo, innanzitutto perché ha tradotto nel nostro sistema politico quei processi di mediatizzazione della politica, americanizzazione e personalizzazione, che sono strettamente legate tra loro. È stato lui, non a caso, a cambiare la dieta mediatica degli italiani con soap opera americane come Dallas.
Ha cambiato l’immaginario, quindi?
La trasformazione dell’immaginario è diventata politica, ed è questa la specificità italiana e del berlusconismo. Se non fosse successo questo, sarebbe stato un altro tycoon delle televisioni del mondo occidentale che hanno portato il cambiamento della grammatica televisiva proveniente dagli Stati Uniti nei loro contesti nazionali. Invece il berlusconismo è diventato culturale e politico perché Berlusconi si è speso in politica, o come diceva lui, è sceso in campo. Questo è un punto di non ritorno.
Cosa intende?
La personalizzazione, che è strettamente intrecciata alla logica mediatica della televisione generalista commerciale, è stata adottata da tutti i leader politici successivi. Perché è solo sulla base di questa grammatica che si entra e si diventa comunicativi all’interno delle televisioni generaliste.
Anche il Movimento 5 Stelle?
Se pensiamo al Movimento 5 Stelle, è intrecciato con un altro tipo di medium, il web, ma lo usa con strumenti sostanzialmente analoghi a quelli della televisione commerciale, cioè in modo unidirezionale, all’alto al basso, dall’emittente ai destinatari, però si presenta dal punto di vista dei format come orizzontale, interattiva, disintermediatrice.
Ci può fare qualche esempio?
Il modello delle consultazioni online di Rousseau, presentate come trionfo della democrazia diretta, sostanzialmente sono un format analogo alla trans-televisione. Cioè della televisione commerciale che inserisce il pubblico e lo fa interagire con la trasmissione. Dove però, come noto, la sceneggiatura è totalmente scritta e totalmente decisa dall’emittente. Ma gli esempi sono tantissimi, come il grillismo arrembante, che è stato fondamentale per ottenere consenso anche nelle ultime elezioni, adotta un modello di giustiziere antipolitico che è molto simile a una media-logic di una trasmissione come Striscia la Notizia o Le Iene. Cioè la politica anziché risolvere i problemi li crea, quindi occorre un soggetto extrapolitico o antipolitico che faccia da giustiziere. La metafora di Grillo Gabibbo barbuto, oltre all’accento genovese che li accomuna, è stata molto azzeccata.
L’antipolitica è quindi una conseguenza della cultura televisiva commerciale?
Credo di sì, un po’ perché la televisione commerciale è stata sempre lontana dalla politica, e quando invece ha dovuto confrontarsi con essa ne ha rovesciato il paradigma e si è messa in una condizione di surroga, di sostituto. Questo ha chiaramente a che fare, nuovamente, con le origini del berlusconismo, cioè veicolare un’offerta politica all’indomani di una crisi come Tangentopoli, in cui i media hanno svolto un ruolo fondamentale, giustizialista, contro la politica e quella classe dirigente che è stata sostituita.
Berlusconi ha creato l’alternativa alla politica tradizionale, e ha quindi fatto scuola?
Il berlusconismo culturale e comunicativo è strutturalmente neoplebiscitario, cioè è fatto di un rapporto tra un leader e il popolo. In questo neoplebiscitarismo che passa attraverso canali mediatici e mediali diversi c’è il germe originario del berlusconismo che è diventato la moneta corrente della comunicazione politica successiva.
Alcuni commentatori hanno detto che Salvini è l’erede naturale di Berlusconi, pensa sia vero?
Salvini è erede sì e no. Indiscutibilmente se il berlusconismo ha cambiato la grammatica della comunicazione politica, l’ha spostata in termini di mediatizzazione, anche Matteo Salvini ne è figlio, anche se il rapporto personale tra loro è molto problematico. C’è un tentativo di parricidio, che in politica è essenziale, ma anche per le profonde diversità caratteriali tra i due. Del berlusconismo, Salvini eredita una modalità comunicativa fatta di profilazione e populismo comunicativo. Matteo Salvini è l’evoluzione della parte più populista che Berlusconi ha usato a corrente alternata. Ma c’è un elemento scientifico della comunicazione.
A cosa si riferisce?
Un tratto distintivo delle campagne elettorali di Forza Italia è stato l’uso del marketing politico, di profilazione e soprattutto nella parte web Salvini ha usato indiscutibilmente tecniche sofisticate, spingendosi anche in quel terreno opaco di cui Cambridge Analytica è la manifestazione per eccellenza. L’uso di fake news, una certa disinformazione, bot usati come account per moltiplicare i messaggi via internet segnalano che quello della Lega è stato un lavoro scientifico molto più di quanto sembri.
E la televisione? È ancora fondamentale?
Salvini ha usato all’ennesima potenza la televisione generalista, e la sua presenza è stata massiccia, a conferma di come rimanga centrale dal punto di vista politico in questo Paese. Anche qui, dopo la televisione pedagogica l’altro modello di televisione è appunto quello del berlusconismo. Ma vorrei precisare una cosa.
Prego.
La mia sensazione è che c’è un cambiamento ulteriore del linguaggio politico, rispetto al quale Salvini esercita un ruolo essenziale, ossia la disintermediazione che va oltre il politicamente scorretto. L’urlo, la rottura della grammatica politica, quella spinta che lui presenta come antisistema e che distrugge le regole di galateo e di buona educazione che sono indispensabili per far funzionare non solo la società ma anche un sistema politico, ecco tutto questo è il segnale di come Salvini stia cambiando la grammatica politica e il suo linguaggio in una chiave preoccupante.
Cosa intende per preoccupante?
La politica è il luogo del compromesso alto, della mediazione e della convivenza tra i diversi. Se invece il principio della delegittimazione, che è diventato purtroppo larghissimo tra gli attori politici italiani, continua a correre e anzi viene presentato come sincerità, autenticità, risposta e traduzione della pancia del paese senza filtri, tutto questo ci consegna non certo a un futuro radioso ma al contrario a una posizione di ulteriore imbarbarimento dei rapporti politici e di conseguenza anche dei rapporti sociali e civili.