Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria, lo aveva ricordato giusto giusto un mese fa. Il reddito di cittadinanza targato Movimento Cinque Stelle non s’ha da fare, non ora almeno, non con questo spazio di manovra sul deficit così risicato. Il rischio è ritrovarsi nuovamente ai ferri corti con l’Europa, in un momento in cui a Bruxelles si respira una certa apprensione per lo stallo politico italiano. Oggi è arrivato anche il verdetto del Centro Studi di Viale dell’Astronomia, che in un paper (qui il documento), ha stroncato quello che a tutti gli effetti è un totem della politica economica del Movimento. Il motivo della bocciatura è presto spiegato. Primo, costa troppo e i soldi non ci sono, secondo il reddito di cittadinanza potrebbe non essere quella panacea che si vuol far credere.
Partendo dagli aspetti finanziari, per gli esperti di Confindustria il reddito di cittadinanza “potrebbe costare molto: 30 miliardi di euro o più secondo varie stime, rispetto ai già elevati 17 miliardi prospettati dal M5S e comportare uno spreco ingente di risorse pubbliche, poiché verrebbe concesso anche a individui che poveri non sono”. E questo perché verosimilmente il reddito di cittadinanza si rivolgerebbe a una platea di 2,8 milioni di nuclei familiari, garantendo un importo di 780 euro a persona. Di più, stando alle conclusioni degli imprenditori, si rischia di regalare soldi pubblici a chi di tale misura non ne ha realmente bisogno. Se così fosse, l’impatto effettivo sul tasso di povertà, sarebbe pressoché nullo.
Questo un primo rovescio della medaglia. Il secondo, se possibile è ancora più inquietante. La misura grillina sarebbe un incentivo a non trovare lavoro. “È inoltre alto”, scrivono gli esperti nel documento, “il rischio che disincentivi il lavoro, dato l’elevato importo del beneficio e l’assenza di un meccanismo di cumulo con il reddito da lavoro” che consenta di assommare il bonus a un eventuale reddito da lavoro, anche se minimo. Ancora, “per incentivare la partecipazione, inoltre”, la proposta grillina “prevede solo l’obbligo di iscrizione ai Centri per l’Impiego, strutture che necessitano di una profonda e costosa riforma per poter garantire risultati apprezzabili nel facilitare l’avviamento al lavoro”.
Ci si chiede se a questo punto sia davvero un caso se la Finlandia, Paese dalle finanze pubbliche non certo disastrate e con un sistema di welfare tra i più avanzati in Europa, abbia deciso di ridimensionare il suo progetto pilota per il reddito di cittadinanza (qui le anticipazioni di Formiche.net), proprio perché troppo oneroso anche per i conti pubblici finnici. Senza considerare che sia l’Inps, cui spetterebbe l’erogazione della prestazione, sia Bankitalia hanno espresso più di un dubbio sulla questione. Il primo ricordando come la misura cara al M5S possa arrivare a costare 38 miliardi, la seconda sottolineando la scarsa disponibilità di coperture con cui finanziarla.
Molto meglio, è la conclusione di Confindustria, lavorare sull’alter ego ma molto più sostenibile del reddito di cittadinanza, il Rei (reddito di inclusione), una forma di sussidio non universale, rivolto cioè solo a chi si trova in situazioni di particolare difficoltà, ma con una platea molto più ridotta e mirata. “Dopo svariate sperimentazioni territoriali, con l’avvio del reddito di inclusione da gennaio 2018 l’Italia si è dotata di uno strumento universale di contrasto alla povertà su scala nazionale, disegnato per raggiungere le famiglie in povertà, attraverso soglie di accesso sia reddituali sia patrimoniali”, premette Confindustria.
E allora, invece che tentare il salto nel buio, meglio migliorare quanto di già esistente e operativo c’è. “Ad oggi affrettarsi a sostituire (con il reddito di cittadinanza, ndr) uno strumento appena partito significherebbe creare incertezza e allungare i tempi di implementazione. Più opportuno darsi il tempo per condurre una seria valutazione, specie delle modalità di attivazione al lavoro, e nel frattempo indirizzare le risorse per aumentare platea e beneficio”. Di Maio è avvisato.