Da un lato Standard & Poor declassa le obbligazioni turche disegnando scenari a tinte fosche, dall’altro un gruppo islamico annuncia che nei prossimi 4 anni riverserà altri soldi nel mercato di Ankara, dopo aver investito già 11 miliardi.
Come stanno in salute le finanze di Erdogan? Corrisponde al vero la vulgata secondo cui un’economia drogata da un super deficit potrebbe provocare gravi conseguenze nel breve periodo? Ecco una radiografia analitica.
DOWN
Non è del tutto inaspettata la mossa dell’agenzia di rating Standard & Poor che ha declassato le obbligazioni sovrane della Turchia. Il motivo sta nelle preoccupazioni circa le prospettive di inflazione in mezzo a massicci disinvestimenti della lira, la moneta turca. L’indice S & P ha osservato che il downgrade (a BB-/B da BB / B) non faceva parte delle valutazioni previste ma è stato effettuato ugualmente a causa della crescente “preoccupazione”. Due mesi fa anche Moody’s Investors Service aveva peggiorato da Ba1 a Ba2 (due livelli sotto l’investment grade) il rating sovrano della Turchia, adducendo come motivazione oggettiva il “deterioramento delle condizioni politiche e l’erosione della solidità delle istituzioni”.
Altra spia di malessere si ritrova nella decisione della Banca centrale turca che ha rivisto le previsioni di inflazione che aveva fissato all’inizio dell’anno. Nel suo rapporto pubblicato il 30 aprile scorso, la Banca ha aumentato le previsioni sull’inflazione a fine anno dal 7,9% all’8,4%. È opinione diffusa che le previsioni riviste della Banca continueranno ad aumentare. Prima conseguenza è nell’aumento dei prezzi al consumo, secondo le previsioni almeno più 1,6% in un mese.
UP
Di contro Erdogan si dice tranquillo: sta per incassare un’altra buona notizia. Il gruppo Islamic Development Bank (IsDB) sta lavorando alla messa a punto di un piano strategico di partnership quadriennale con la Turchia, investendo in infrastrutture, energia, trasporti e istruzione. Negli ultimi anni IsDB ha già messo 11 miliardi nel mercato turco in quei settori produttivi che rappresentano il 50% del finanziamento straniero totale. Il ceo di IsDB ha dichiarato che la banca mira a sostenere lo sviluppo della Turchia per consentire al Paese di diventare più competitivo nel prossimo decennio attraverso il collegamento con “catene globali”, aggiungendo che la banca apprezza i progressi “molto significativi” della Turchia in un settore nevralgico come le ferrovie ad alta velocità.
Un passaggio che, nelle intenzioni degli investitori, si dovrebbe legare ad altri Paesi membri del gruppo IsDB interessati a questa tecnologia. Oltre all’alta velocità il gruppo intende consolidare i propri investimenti in Turchia in base allo sviluppo di settori specifici, come le energie rinnovabili attraverso la Development Bank of Turkey e la Industrial Development Bank of Turkey. In questo senso, come annunciato più volte dal governo, la Turchia si è da tempo posta l’ambizioso obiettivo di raggiungere il 30% delle energie rinnovabili entro il 2023.
IsDB
La Banca per lo sviluppo islamico la cui sede principale è a Jeddah, nel Regno dell’Arabia Saudita, è un’istituzione finanziaria islamica internazionale nata nel 1975 per promuovere lo sviluppo economico e il progresso sociale dei paesi membri. Si occupa di partecipazioni al capitale azionario e di concessione di prestiti per progetti produttivi, oltre a fornire assistenza finanziaria ai paesi membri in altre forme di sviluppo economico e sociale. La banca è inoltre tenuta a istituire e gestire fondi speciali per scopi specifici, come un fondo per l’assistenza alle comunità musulmane nei paesi terzi, oltre alla creazione di fondi fiduciari.
Composta da 57 Paesi, ha una condizione di base per l’adesione: che il Paese candidato sia membro dell’Organizzazione della cooperazione islamica (OIC) e paghi il suo contributo al capitale della banca.
IRAN E TURCHIA
Nonostante il calo del turismo fatto registrare nell’ultimo triennio in Turchia a causa degli episodi legati al terrorismo di matrice islamista, Ankara punta a continuare a investire proprio sui vacanzieri. E gli sviluppi dei rapporti con Teheran rappresentano un elemento che il governo di Erdogan non valuta come secondario. Per questa ragione, a seguito di un accordo recentemente siglato, l’Iran e la Turchia stanno ora perseguendo l’integrazione delle carte bancarie in una mossa volta ad aiutare l’enorme flusso di turisti che viaggiano tra le due nazioni. Ad annunciarlo i ceo di Bank Melli Iran e della Banca Ziraat in Turchia.
“È stato deciso che le carte bancarie saranno utilizzate tra i due Paesi – ha detto Mohammad Reza Hosseinzadeh, ceo di Bank Melli -. Molti turisti iraniani e turchi viaggiano tra i due paesi ogni anno e l’utilizzo di queste carte può portare alla crescita del turismo”. Tra l’altro il suo omologo turco, Huseyin Aydin, Ceo di Ziraat Bank, è anche a capo anche dell’associazione turca di banche statali.
Ragion per cui ha spinto, su stimolo del governo, affinché partisse dalle banche l’impulso per un possibile nuovo sviluppo turistico. Quelle stesse banche che, se come annunciato si preparano a ricevere nuovi investimenti dai Paesi del golfo, al contempo maturano la consapevolezza che se da un lato la Turchia cresce, dall’altro alla stessa velocità si indebita.
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