Skip to main content

Theresa May tra brexiteers e remainers. La Brexit si farà?

brexit

Dopo una settimana di cattivo umore a Bruxelles, la frustrazione cresce e intanto i negoziatori dell’Ue arrivano a pensare che quasi due anni dopo il referendum il governo britannico non abbia ancora fatto i conti con la Brexit. Sono giorni tesi in Gran Bretagna. Theresa May cerca di scongiurarli con uno strano guanto di sfida lanciato sia agli euroscettici sia ai remainers, e tenta il colpo di coda per superare lo stallo della Brexit.

L’obiettivo è far contenti tutti e così chiedere ai brexiteers di ingoiare un’estensione dei legami con l’Ue fino al 2023. E non oltre. Eppure comunque circa otto anni dopo il referendum quando la volontà popolare che si è pronunciata nel 2016 per abbandonare l’Unione. Lo scontro potenzialmente decisivo è alla porte, eppure nel frattempo Downing Street insiste sulla possibilità di un solo periodo di transizione che terminerà a dicembre 2020.

Jeremy Corbyn è pronto a scommettere su una larga maggioranza che desidera trattenere la Gran Bretagna nell’unione doganale, ma il consiglio dei ministri è diviso. Da una parte l’opportunità di sostenere uno schema doganale di massima facilitazione, che piace, tra gli altri, a Boris Johnson, e a quel punto le soluzioni tecnologiche dovrebbero essere pronte a garantire che non vi siano controlli fisici alla frontiera irlandese e altrove. Dall’altra un “partenariato doganale”, voluto da Theresa May, e che vedrebbe la Gran Bretagna riscuotere dazi per conto dell’Ue e quindi offrire alle imprese un rimborso. Allo stesso tempo, però, sarebbero almeno una dozzina i tories pronti a unirsi ai laburisti per chiedere al Regno Unito di rimanere nell’unione doganale al cento per cento, e, se fosse vero, si tratterebbe di un numero sufficiente per rovesciare la maggioranza della May. Bruxelles respinge entrambe le opzioni di governo e li accusa di fantasticare troppo.

Intanto l’ala dei conservatori che scalpita nel fare i bagagli e scappare dall’Europa dei burocrati, è quanto mai insofferente. Jacob Rees Mogg, leader per eccellenza dei Brexiteer, e per tanti già prossimo primo ministro dopo Theresa May, è su tutte le furie per la possibile estensione del periodo di transizione.
“Siamo passati da un chiaro punto di rottura a un’estensione, fino ad arrivare a una proposta di ulteriore estensione che forse non finirà mai”, si è lamentato. Aggiungendo, “le persone hanno votato per andarsene, non per un purgatorio perpetuo”.

E poi resta il problema sicurezza. L’Inghilterra sa di non poter dormire sonni tranquilli e non può sottovalutare la questione. La quale, comunque, resta oggetto di contesa con Bruxelles.

A inizio mese, il principale negoziatore della Brexit per l’Ue, Michel Barnier, ha dichiarato alla conferenza dell’Istituto europeo per la sicurezza: “I Paesi terzi [e le loro aziende] non possono partecipare allo sviluppo di questioni attinenti alla sicurezza”. Ovviamente pensava alla Gran Bretagna che, una volta “uscita”, sarà considerata dai burocrati un “Paese terzo”. Ma la storia è più complicata di quel che si immagina. Perché in ballo c’è il progetto Galileo. Il sistema di posizionamento e navigazione satellitare civile, sviluppato in Europa come alternativa al Gps controllato, invece, dal Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti.

Il governo britannico ha investito molto nel progetto, anche in termini economici, e adesso giudica l’accesso futuro, un banco di prova per la cooperazione nel settore della sicurezza tra Regno Unito e Ue. E nel frattempo Theresa May ha già minacciato il rimborso del miliardo di sterline che ha investito nel sistema di navigazione, a meno che l’Ue non faccia un passo indietro rispetto al congelamento delle società britanniche al suo sviluppo futuro.

E come se non bastasse, s’è messo pure Bernard-Henri Lévy, il filosofo francese, ad alimentare le polemiche. Incontrato da quelli dello Spectator in occasione della sua nuova commedia, Ultima uscita prima della Brexit, che verrà presentata in prima mondiale a Cadogan Hall, a Londra, il 4 giugno, sotto gli auspici della Hexagon Society.
Ha scelto Londra per la première del dramma perché considera la Gran Bretagna il “cuore pulsante del progetto europeo”. “Non è solo un pezzo aggiuntivo. È la parte principale del Dna. Senza l’Inghilterra, l’Europa non sarà l’Europa, sarà qualcos’altro”. E, allora, se da una parte è convinto che la Brexit sarà un evento terminale per l’Unione tutta, ammette, “posso dirvi questo: la Brexit non accadrà”.

Provocazione o meno, resta che gli inglesi sono in preda ad una crisi di nervi e se un francese prevede loro che non saranno in grado di portare a termine il progetto, la cosa si fa ancora più irritante.


×

Iscriviti alla newsletter