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Ecco perché i vescovi cileni rimettono il proprio incarico a Bergoglio

vescovi

Il passo veloce e lo sguardo determinato con cui padre Zollner, consigliere di Papa Francesco per le questioni relative alla tutela dell’infanzia, scendeva ieri sera le scale dell’Università Gregoriana annunciava momenti duri, come quelli che hanno portato alla clamorosa decisione di tutti i vescovi cileni di rimettere il proprio futuro, e il proprio incarico di vescovi, nelle mani di Francesco: “Dopo tre giorni di incontri con il Santo Padre e molte ore dedicate alla meditazione e alla preghiera, seguendo le sue indicazioni, noi vescovi del Cile desideriamo dichiarare quanto segue”, specificando che “per iscritto abbiamo rimesso i nostri incarichi nelle mani del Santo Padre perché decida liberamente per ciascuno di noi.

Ci poniamo in cammino, sapendo che questi giorni di dialogo onesto hanno rappresentato una pietra miliare di un profondo processo di cambiamento guidato da Papa Francesco e in comunione con lui vogliamo ristabilire la giustizia dal danno causato per dare nuovo impulso alla missione profetica della Chiesa in Cile il cui centro avrebbe sempre dovuto esser Gesù Cristo. Desideriamo che il volto del Signore torni a risplendere nella Chiesa e ci impegniamo per questo con umiltà e speranza e chiediamo a tutti di aiutare a percorre questa strada”. Ma ancora non basta. “In primo luogo, ringraziamo Papa Francesco per il suo ascolto da padre e la sua correzione fraterna, ma soprattutto vogliamo chiedere perdono per il dolore causato alle vittime , al Papa al popolo di Dio e al nostro paese per i nostri gravi errori e omissioni commesse.”

Dunque dopo tanti anni lo scandalo degli abusi commessi da padre Karadima e la tempesta Barros, il prelato che li avrebbe coperti, si unisce alla carenza di informazioni veritiere fornite dai vescovi al papa in occasione del suo recente viaggio in Cile e produce quello che nessuno si immaginava possibile; la remissione dell’incarico di ognuno dei 34 vescovi nelle mani del papa. I vescovi cileni inoltre ringraziano monsignor Scicluna, che ha scritto il dettaglia rapporto di centinaia di pagine sul caso cileno insieme aI reverendo Jordi Bartomeu (che il Papa aveva inviato in Cile ad ascoltare le vittime, ndr) “per la dedizione pastorale e personale, nonché per lo sforzo investito nelle ultime settimane per cercare di sanare le ferite della società e della chiesa del nostro paese. Ringraziamo le vittime per la loro perseveranza e il loro coraggio nonostante le enormi difficoltà personali spirituali sociali e famigliari che hanno affrontato unite spesso alle incomprensioni e agli attacchi della stessa comunità ecclesiale. Ancora una volta imploriamo il loro perdono e aiuto per continuare ad avanzar sul cammino della guarigione per cicatrizzare le ferite”.

La rilevanza assoluta, mondiale, di quanto accaduto la riconoscono per primi proprio loro, le vittime di padre Karadima, che su Twitter hanno scritto: «Per dignità, giustizia e verità: lasciano tutti i vescovi. Delinquenti. Non hanno saputo proteggere i più deboli, li hanno esposti agli abusi e invece hanno impedito la giustizia. Per questo, meritano semplicemente di andarsene», ha scritto José Andrés Murillo. «I vescovi cileni hanno rinunciato tutti. È inedito ed è un bene. Questo cambia le cose per sempre», ha commentato Juan Carlos Cruz.

Difficile sostenere che non abbiano ragione, cambia proprio tutto: da questo momento si comincia a costruire un futuro ecclesiale insieme alle vittime, che divengono un tassello centrale dell’epoca avviata da Francesco, quella del rinnovamento. Ora la Chiesa appare davvero una casa di cristallo, pronta a costruire un futuro diverso, nel quale il post clericalismo sarà garanzia per tutti. Un momento da ricordare soprattutto per chi credeva la riforma dei cuori non sarebbe mai approdata a nulla. E che questo cominci in Cile, in quell’America Latina alla quale Francesco ha chiesto più volte di voltare pagina, è certamente di grande importanza.



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