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Il voto anticipato accelera la crisi del Pd

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Le elezioni anticipate, con la fine prematura della legislatura, dopo l’ennesimo giro di consultazioni al Quirinale senza esito, sembrano avvicinarsi prepotentemente. E l’accelerazione della crisi istituzionale non può non far sentire le proprie ripercussioni sul Partito democratico, già uscito malconcio dal voto del 4 marzo, e ancora alla ricerca di un suo nuovo assetto interno.

La possibilità, ormai concreta, di andare al voto in piena estate, quindi tra un paio di mesi, o in autunno, costringe i democratici a risolvere in tempi stretti i propri problemi interni, trovando nuovi equilibri, non più rimandabili.

A questo punto l’assemblea nazionale, convocata entro la fine del mese di maggio dopo il nulla di fatto della direzione di giovedì scorso, diventa un vero e proprio spartiacque rispetto al futuro del Pd, non solo per l’assetto dei suoi vertici, ma anche e soprattutto per la gestione del potere in vista delle prossime elezioni. Infatti, ora la partita – con le elezioni all’orizzonte – si sposta sulla responsabilità della composizione delle liste. A chi spetterà questo potere non trascurabile?
Con gli attuali gruppi parlamentari composti in gran parte da fedelissimi di Matteo Renzi, gli avversari dell’ex segretario punteranno a impedirgli di poter fare altrettanto in un’eventuale nuova legislatura.

È chiaro che a questo punto, fondamentali sono i tempi con cui si potrebbe tornare alle urne. Se si votasse veramente in piena estate, come auspicato da Matteo Salvini e Luigi Di Maio, chiaramente sarebbe impossibile per il Pd dare vita un congresso vero e proprio, visto che l’iter prevede addirittura il doppio voto; prima quello degli iscritti e poi quello degli elettori ai alle Primarie. Se si votasse veramente a luglio sarebbe la stessa assemblea nazionale quindi a eleggere il nuovo segretario che diventerebbe – da statuto – il candidato premier del Pd. I “sospetti” sul candidato ideale da proporre agli italiani in tempi così breve si concentrano tutti su Paolo Gentiloni, presidente del consiglio ormai uscente ed esponente Dem più apprezzato dai cittadini secondo tutti i sondaggi.

In caso di voto in autunno, o addirittura con l’anno nuovo, qualora il governo di servizio auspicato da Mattarella riuscisse ad insediarsi con il voto di fiducia di entrambi i rami del Parlamento (cosa che nel momento in cui scriviamo sembra molto improbabile viste le primissime dichiarazioni dei leder di M5S e Lega), è più probabile che il nuovo segretario venga eletto con le primarie, da svolgersi in piena estate, proprio durante le feste dell’Unità. E a quel punto è probabile che i due schieramenti renziani e antirenziani, si presentino con dei candidati propri ai gazebo.

Il Pd, invece, si presenta compatto nel sostegno al governo neutrale e di servizio ipotizzato dal Quirinale, riuscendo almeno a confermare il suo ruolo di partito “responsabile”, incarnato in più di un’occasione nel passato. Il paradosso odierno è che mentre nel passato il ruolo di “forza responsabile” ha avuto un costo per i democratici, come quando decise di sostenere il governo Monti, questa volta, davanti all’irresponsabilità dimostrata dai partiti usciti vincitori dal voto del 4 marzo, il ruolo di forza affidabile, in qualche modo incarnata anche fisicamente da Paolo Gentiloni, può essere un tratto apprezzato da molti elettori. Ovviamente a patto che agli elettori si proponga proprio lo stesso presidente del Consiglio uscente come possibile candidato premier.



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