Gli italiani vogliono tornare al voto, sono stanchi della campagna elettorale perpetua e incolpano dello stallo Luigi Di Maio e Silvio Berlusconi. È questa la fotografia fatta da Enzo Risso, direttore scientifico di Swg e docente di sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università di Macerata, degli elettori italiani che nelle prossime settimane potrebbero essere richiamati alle urne. Il voto a luglio, spiega Risso, potrebbe far aumentare l’astensione, ma a risentirne potrebbero essere tutti i partiti.
Gli italiani vogliono tornare a votare?
Sulla voglia non le so dire, ma per il 48% degli italiani se non si dovesse raggiungere un accordo su un governo politico, la soluzione sarebbe tornare al voto. Nell’opinione pubblica non c’è un’idea di governo possibile, ma è spaccata esattamente come i partiti. Mentre in passato c’era un tripolarismo asimmetrico, ora ci troviamo in una situazione di tripolarismo blindato in cui nessuno avverte la necessità di costruire qualcosa mediando con gli altri. Si potrebbe definire un tripolarismo dei vasi incomunicanti.
Tra le ipotesi di governo, quale era la più gradita?
L’ipotesi di governo che piaceva di più era Lega e Movimento 5 stelle, ma coinvolgeva il 30% degli italiani, non di più. Se guardiamo le altre possibilità, la condivisione verso un governo istituzionale coinvolge più o meno il 20% degli italiani, un governo di minoranza solo di centrodestra piace solo al 15% e un governo sostenuto dal centrodestra e dal Pd all’11%, così come un governo sostenuto dai 5 Stelle e dal Pd piace al 10%. Insomma, minoranze di minoranze, per cui meglio tornare alle urne anche per gli italiani.
Non c’è il rischio che una campagna elettorale perpetua stanchi gli elettori?
La campagna elettorale non si è mai fermata e continuerà ancora e la conseguenza potrebbe essere proprio, da parte degli elettori, di un senso di stanchezza che li spinga a non recarsi al voto. Di questa situazione potrebbero avvantaggiarsi i partiti con una base di adesione più solida e strutturata, come il Partito democratico e la Lega di Salvini, mentre potrebbe risentirne il Movimento 5 Stelle che raccoglie un voto di opinione e protesta, anche se non vedo alcuna crisi all’orizzonte. Il rischio di astensione e la forma di plebiscito che il voto sta prendendo, porterà i vari partiti ad alzare i toni della campagna elettorale proprio per spingere il proprio elettorato alle urne scaldandone l’animo.
Una delle ipotesi in campo è quella di votare a luglio. Non aumenta, così, il rischio astensione?
Sulle conseguenze del voto in estate stiamo ancora verificando, è necessario aspettare che gli italiani metabolizzino questa possibilità. Tuttavia si può sottolineare che in passato, per prassi, si è scelto di non andare al voto d’estate per garantire a tutti i cittadini di potersi esprimere senza impedimenti. Chi può essere avvantaggiato dal voto subito dipende da diverse variabili. Una di queste sono le vacanze, e diversamente da quanto detto da alcuni, non c’è distinzione tra Nord e Sud, ma piuttosto tra ceti medio alti o medio bassi. Chi è dipendente di grandi aziende pubbliche, ad esempio, può scegliere di andare in vacanza a luglio, mentre i dipendenti di piccole medie imprese hanno l’obbligo delle ferie ad agosto.
Alcune forze politiche, come Lega e M5S, chiedono il voto subito, altri lo escludono. Da cosa dipende?
I partiti fanno un ragionamento politico. Forza Italia ha preso il 14% il 4 marzo, oggi oscilla intorno al 9%. Berlusconi non ha alcun interesse ad andare alle urne, perché rischia di veder diminuire la sua pattuglia di parlamentari. Per il Partito democratico, invece, sarebbe impossibile affrontare adeguatamente una campagna elettorale. Non bisogna dimenticare che il Pd non ha un segretario vero e proprio, ma un segretario reggente, e sarebbe impossibile affrontare una campagna elettorale incisiva senza una vera e propria leadership. Salvini e Di Maio, invece, vogliono andare subito a elezioni per ragioni diverse: Salvini per incassare e Di Maio per non perdere pezzi.
Ci spiega meglio?
Matteo Salvini alle elezioni del 4 marzo ha preso circa il 17% di voti, ora oscilla attorno al 24%. Sa benissimo, quindi, che prima si va a votare più ha la possibilità di incassare questo valore aggiunto. Per Di Maio, invece, la situazione è diversa, ci sono dei campanelli d’allarme dati dalle ultime settimane post elettorali e dal suo comportamento nel frangente delle consultazioni. Le faccio un esempio: tra marzo e aprile, se avessimo chiesto agli elettori dei 5 Stelle di dare un voto da 0 a 10 al comportamento di Di Maio, il 74% avrebbe risposto da 7 a 10. Ora, stessa domanda, la quota è scesa di 10 punti percentuali al 64%. Inoltre la maggioranza relativa degli italiani ritiene che le responsabilità di questo stallo siano da imputare a Luigi Di Maio (38%), seguito da Silvio Berlusconi (23%). Tra questi, anche il 13% di elettori del Movimento 5 Stelle. Per Di Maio la situazione di instabilità prolungata è un rischio.