Uno “scenario da Apocalisse”, per dire il meno, è quello piovuto sulla scrivania del governo di Theresa May in queste ore. Alti funzionari del governo del ministro per la Brexit David Davis, secondo quanto riportato dal Sunday Times in esclusiva, hanno messo a punto una previsione di quel che potrebbe accadere alla Gran Bretagna a due settimane dal 29 marzo 2019: il giorno in cui la Brexit sarà davvero realtà. Lo scenario catastrofico non è altro che il monito a un governo che potrebbe abbandonare l’Unione senza un accordo.
Il Sunday Times scrive che lo staff per la Brexit, collaborando insieme al ministero della Sanità e dei Trasporti, ha preparato tre scenari dell’eventuale mancato accordo tra Londra e Ue: insomma, si va da una situazione abbastanza gestibile a una davvero tragica. Nell’ultima ipotesi supermercati, farmacie e distributori di benzina rimarrebbero a secco dopo poche ore di attività. E se questo fosse lo scenario, il Regno Unito sarebbe costretto a organizzare voli charter, oppure a usare aerei della Royal Air Force per portare generi alimentari e medicinali in tutte le zone dell’isola. E pare che l’esecutivo guidato da Theresa May abbia già iniziato a lavorare a piani di emergenza che prospettano un collasso del porto di Dover, già dal 30 marzo.
Tuttavia, il neo Segretario di Stato, Sajid Javid, ha detto di non trovare plausibili gli scenari da “giorno del giudizio” che la stampa ha messso in prima pagina. E parlando al Andrew Marr Show della Bbc, ha detto: “Dal lavoro che ho visto e dalle analisi che sono state fatte, non credo che nessuno dei risultati potrebbe verificarsi”. Ha aggiunto, poi, che il governo sta facendo progressi con i piani Brexit, affermando: “Sono fiducioso che quando arriveremo alla riunione del consiglio di giugno il primo ministro avrà una buona serie di proposte e i nostri colleghi in Europa risponderanno positivamente”.
Intanto tra gli editorialisti d’oltre Manica, già si grida al sospetto. La soffiata sull’ “Apocalisse” non è casuale, dicono, ma arriva nel momento in cui i fautori della Brexit pura e dura reclamano, apertamente, l’uscita dalla Ue senza accordi. E questo perché temono che Theresa May si stia avviando verso una Brexit talmente “morbida” da costringere la Gran Bretagna a restare strettamente legata all’Europa, in una situazione che i tories, però, definiscono di vassallaggio. Ecco, allora, l’emergere di scenari catastrofici, molto più di una Apocalisse, che mettono in guardia dalle velleità di far saltare il tavolo negoziale con Bruxelles. Ma è un allarme destinato a mandare nel panico no solo, ovviamente, il Paese della regina, ma anche tanti Paesi membri, come l’Italia.
La Coldiretti, per esempio, non ha tardato a far arrivare la sua analisi circa gli effetti dell’ipotesi no deal. “Una eventualità drammatica per le imprese italiane particolarmente attive su un mercato molto importante per il cibo e le bevande nostrane. La voce più importante della tavola nelle esportazioni tricolori – si legge ne comunicato – è infatti rappresentata dal vino, con un valore di 810 milioni di euro di esportazioni nel 2017 e, in particolare, dal Prosecco immancabile nei party inglesi”. Secondo Coldiretti, “al secondo posto tra i prodotti agroalimentari italiani più venduti c’è la pasta, ma rilevante è anche il ruolo dell’ortofrutta, dei formaggi e dell’olio d’oliva. Più dello scenario apocalittico a preoccupare è però soprattutto il rischio che con l’uscita dall’Unione Europea si affermi in Gran Bretagna una legislazione sfavorevole all’esportazioni agroalimentari italiane come l’etichetta nutrizionale a semaforo sugli alimenti che si sta diffondendo in gran parte dei supermercati inglesi e che boccia ingiustamente quasi l’85% del Made in Italy a denominazione di origine (Dop)”.
E, comunque, non è tutto qua. Oltre la possibile o meno Apocalisse, da giorni, si fa sempre più imponente un eventuale nuovo scenario: un secondo referendum sulla Brexit. Pare non esserci nessuno nella maggioranza di governo, tra i conservatori, disposto a cedere a una simile opzione che sarebbe, politicamente, quasi un suicidio.
Nick Clegg – l’ex leader dei Liberal democratici – ha proposto alla stampa una prospettiva diversa da cui guardare un ritorno alle urne sulla Brexit. L’ex vice primo ministro sostiene che in virtù del fatto che a votare per una piena e totale indipendenza da Bruxelles, nel 2016, fu quella fetta di popolazione più anziana, e, siccome questi ultimi – dal suo punto di vista -“stanno morendo” e che i giovani, invece, si erano espressi per rimanere nell’Ue, il ritorno a votare in merito sarebbe un atto quasi dovuto nei loro confronti.
Secondo l’Indipendent, invece, con un secondo referendum il governo dovrebbe chiedere agli elettori come lasciare l’Europa. Una cosa come, “ecco l’accordo che abbiamo negoziato, siete d’accordo?”
Ma chi sta davvero scaldando i motori perché si torni a votare è George Soros. Il finanziere ha appena donato, infatti, più di 700mila sterline alla campagna Best for Britain istituita da Gina Miller per sostenere la battaglia politica dei pro-remain e lanciare un secondo referendum.
Secondo il finanziere ungherese la prospettiva del divorzio prolungato del Regno Unito da Bruxelles potrebbe aiutare a persuadere il pubblico britannico con un “margine convincente” sul fatto che l’appartenenza all’Ue sia nel loro interesse. Da qui l’appoggio al gruppo Best for Britain che l’8 giugno dovrebbe pubblicare il suo manifesto chiedendo un secondo referendum.
Il groviglio c’è ed è evidente, resta alla May sbrogliarlo. Ma davvero prossimamente sapremo come andrà a finire tutto e se sarà un’Apocalisse o meno.