Nove giorni, diciassette al più tardi, separano il governo pentaleghista dalla prima vera partita industriale dal sapore politico. Il rinnovo della governance della Cassa depositi e prestiti. Dossier delicato, delicatissimo visto il peso specifico della Cassa nell’assetto economico e industriale del Paese. Oggi, nel corso della relazione annuale della Consob (qui l’approfondimento di Formiche.net) dal Movimento Cinque Stelle sono arrivate indicazioni preziose per capire il comportamento del governo gialloverde in vista delle assemblee del 20 (prima convocazione) e del 28 giugno.
La discontinuità con l’attuale governance di matrice renziana (correva l’anno 2015), ovvero il tandem Claudio Costamagna-Fabio Gallia, è quasi scontata. Il primo, per la verità, ha già messo le mani avanti, rinunciando (qui l’articolo di Formiche.net) a un eventuale quanto improbabile bis. Per il secondo, invece, la cui nomina spetta al Tesoro mentre il presidente lo esprimono le fondazioni bancarie, i giochi sono ancora aperti. Troppo differente in ogni caso la visione della Cassa del Movimento, che nella logica pentastellata dovrebbe fungere da banca per gli investimenti.
A dare un po’ di linea sul futuro di Cdp ci ha pensato Stefano Buffagni, deputato pentastellato, portavoce del Movimento alla Camera ma soprattutto fedelissimo e consigliere del co-azionista di governo, Luigi Di Maio. Intervenendo alla relazione della Consob, l’esponente a 5 Stelle ha bruciato una della candidature più forti di questi giorni, l’ex ceo delle Poste (predecessore di Francesco Caio), Massimo Sarmi.
“L’ipotesi di Sarmi alla guida della Cdp non mi sembra il cambiamento”. L’esponente dei 5 Stelle conferma l’interlocuzione con Lega sul tema Cdp ma ricorda che c’è ancora tempo: “Stiamo aspettando di capire bene chi ha dato la disponibilità. Il 16 giugno è la data per la presentazione delle liste” per il board. Per un manager estromesso dalla corsa per la Cdp ce ne sta un altro che prende quota. Dario Scannapieco, vicepresidente della Bei, è un altro nome tra i papabili, che sembra decisamente più gradito al Movimento. “Vediamo se si è candidato, è una persona molto preparata, vediamo se è arrivata la candidatura. Ma prima bisogna capire quali sono gli obiettivi per noi e i punti nevralgici della cassa. Poi si fa la squadra”.
La filosofia del governo gialloverde sulle nomine al vertice delle società pubbliche sembra essere quella del ringiovanimento delle cariche. “In Italia, ai vertici societari delle grandi partecipate, c’è un po’ bisogno di cambiamento, non si può avere sempre le stesse persone, dobbiamo formare una classe di manager nuovi, di 40enni o 50 enni. Abbiamo seconde linee di livello, forse è il caso che nei prossimi anni salgano anche un po’. Non possono essere sempre i settantenni che rilanciano il Paese”.
Altro dossier bollente, rimanendo sempre nel campo pubblico, Mps. Qui la faccenda è se possibile ancora più delicata. C’è infatti di mezzo l’Europa, che vorrebbe l’uscita dello Stato, azionista al 68%, entro un paio di anni al massimo, per “restituire” il terzo gruppo bancario al mercato. Nei giorni scorsi la Lega, per bocca dell’economista Claudio Borghi aveva messo le mani avanti, ventilando addirittura una cacciata dell’attuale ceo Marco Morelli, impegnato nel rilancio dell’istituto, provocando il crollo del titolo in Borsa (qui l’intervista sul caso Mps a Stefano Micossi).
E non è che nel Movimento la pensino tanto diversamente. “Può essere che Mps resti pubblica, ma per avere piani certi sulla banca senese dateci tempo”, ha chiosato Buffagni. “Noi vogliamo capire che cosa deve fare ogni realtà, noi abbiamo un truck record per capire se uno ha lavorato bene o male, perchè quella non è una questione di bilancio. Lo faremo con tutte le realtà”. Riguardo l’operato di Morelli, il pentastellato non si è sbilanciato più di tanto “non ci permettiamo di valutare, prima bisogna capire come procede il piano” che viene verificato mese per mese con Bruxelles. La calma prima della tempesta?