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E il premier disse (in Parlamento): ci sono anche io. Ricordatevelo

Ci potrebbe riservare qualche sorpresa questo professor Conte, catapultato a Palazzo Chigi un mesetto fa e accolto con malcelata ironia da gran parte degli abituali frequentatori del Transatlantico con annessi caffè di riferimento (Ciampini e La Caffettiera in primis).

Lo testimonia il suo intervento di oggi alla Camera, pronunciato con tono finalmente degno dell’incarico ricoperto, punteggiato da pause adeguate alla bisogna, non privo di saggio mix tra un’equilibrata ispirazione giuridica e ampie concessioni alla politica di matrice salviniana (con tratti pentastellati non troppo evidenti).

Certo, domani si apre un vertice europeo tutt’altro che scontato nell’esito, che potrebbe anche portare ad una bocciatura della linea italiana (o più probabilmente al classico fingere di decidere tipico di quei consessi), con conseguente rimbalzo politico negativo per il nostro primo ministro.

Però qui vogliamo tenere d’occhio gli aspetti più interni, quelli tutti legati alle dinamiche tra il premier e i suoi due “dioscuri”, nonché azionisti unici del governo dal lui presieduto.

Conte oggi prende la parola con un Di Maio alla sua destra piuttosto compiaciuto della performance del professore (leggeri cenni del capo di assenso, espressione sorridente nei passaggi più rilevanti) ed alla sua sinistra un Salvini più serio ma non per questo ostile, diciamo in modalità “sono qui per te, fiducioso per il fatto che dirai a modo tuo quello che penso io”.

Il presidente del Consiglio parla per una mezz’ora scandendo un piano in dieci punti che passa anche per delicatissimi snodi politici, come quello della revisione degli accordi di Dublino o la diversa ripartizione dei migranti, restando pienamente nel solco politico della sua maggioranza (ed in particolare in quello tracciato dal suo ministro dell’Interno), scegliendo però un linguaggio suo, che non è quello brutale e semplificato di Salvini né quello da post su Facebook di Di Maio.

Conte parla “anche” da giurista che studia da premier, alzando il tono lessicale e provando (pur con qualche incertezza ancora presente) a parlare da uomo di Stato, cui sono concesse soltanto le tinte pastello anche quando si maneggiano concetti o proposte di rottura.

Sarebbe sbagliato dire che l’esperimento è fallito, sarebbe miope negare l’evidenza politica che segna questo discorso (peraltro pronunciato nella sede istituzionale per eccellenza, cioè il Parlamento, ovvero il luogo meno amato dai suoi due azionisti che invece fanno tutto quello che conta sempre fuori dal Palazzo), sarebbe stupido non cogliere la strategia che il professore sta mettendo in campo.

Strategia che peraltro vediamo dispiegarsi in modo plastico osservando la sua agenda, che ieri lo ha visto in un lungo colloquio riservato con Macron e che tra poche settimane lo condurrà alla Casa Bianca, dove verrà ricevuto con tutti gli onori, quelli che Trump concede solo ai governanti amici.

Conte oggi è parso in palla dunque, anche se siamo nel pieno della luna di miele governativa, quando tutto è più facile. Non si è proposto come titolare di una strategia a sé stante, questo va detto.
Ma ha chiarito di non voler essere mero esecutore. Non a caso nei banchi dell’opposizione (chiamiamola così con un pizzico d’indulgenza) non pochi hanno apprezzato.


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