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Tria il realista che accontenta (quasi) tutti. Lega, 5 Stelle e persino l’Europa

Realismo e prudenza. Giovanni Tria (nella foto), si è dimostrato abile nel rimanere in equilibrio tra due scuole di pensiero, quella del rigore e del rispetto dei vincoli di bilancio e quella della flessibilità e delle manovre a sostegno dell’economia finanziate a deficit. A leggere le dichiarazioni di Tria c’è da rimanere soddisfatti. Il ministro dell’Economia, intervenuto all’ora di pranzo alla Camera, in sede di replica alla discussione sul Def ha fornito una prima linea precisa circa il suo mandato alla guida del Tesoro, dando al governo gialloverde una robusta dose di realismo condita con della sana prudenza. E cioè: sì, l’Italia rispetterà i suoi impegni sui conti pubblici ma no, il deficit non potrà e non dovrà rimanere un totem inattaccabile.

Europeisti ed euroscettici possono dunque ritenersi più che soddisfatti dalle parole di Tria. In ordine sparso, versante europeo, i mercati non devono temere colpi di testa italiani. Perché Roma, per quanto nelle sue forze, continuerà a fare i famosi compiti a casa. “Il quadro macroeconomico tendenziale del Def prevede un deficit allo 0,8% del Pil nel 2019 e il pareggio di bilancio nel 2020, con il debito che inizierebbe un chiaro percorso discendente. Questa è un’evoluzione che è bene non mettere a repentaglio perché il consolidamento di bilancio è condizione necessaria per mantenere la fiducia dei mercati finanziari, imprescindibile per tutelare i risparmi italiani e ottenere una crescita stabile”. Prima indicazione, all’Italia serve la fiducia dei mercati e ai mercati la fiducia nell’Italia. Senza queste premesse, addio sogni gialloverdi, flat tax o reddito di cittadinanza che si voglia.

Altro pilastro dell’azione di Tria, il debito, vero e proprio demone italiano. Anche in questo caso vince la linea della prudenza e del realismo, d’altronde difficile scherzare con 2.300 miliardi di stock. “Dobbiamo mantenere il percorso di riduzione del debito, evitare un aumento del deficit volto a finanziare spesa corrente. I mercati  reagiscono alla dinamica del debito piuttosto che al suo livello, un programma che ponga il debito su un percorso discendente farebbe ridurre i rendimenti sui nostri Titoli e la differenza sarebbe molto rilevante”. Soprattutto alla luce della prospettata normalizzazione della politica della Bce, alias fine del Qe. Fin qui il Tria che ha riportato alla realtà dei fatti e dei numeri i gli animi più esaltati del governo legastellato chiudendo, di fatto, la campagna elettorale.

Poi però, c’è l’altra faccia della medaglia, anzi del ministero. Quella cioè che parla di un’Europa profondamente squilibrata e da rivedere nel suo attuale assett. Innanzitutto, il deficit. Vada per rispettarlo nei mesi avvenire, ma nel frattempo Bruxelles deve fare qualcosa e non rimanere immobile. In altre parole iniziare a considerare gli investimenti pubblici, fuori dalla spesa corrente e dunque dal calcolo del deficit.

“L’impegno per la riduzione del debito è condizione di stabilità finanziaria, essenziale a banche e imprese, ma sarà anche la condizione di forza per rivendicare non solo per l’Italia ma per tutta l’Europa una svolta decisiva che consenta di considerare la spesa per investimenti diversamente dalla spesa corrente, anche ai fini degli obiettivi di indebitamento”. Per Tria non ci sono più alibi trattandosi di  “svolta europea ormai matura che deve portare a un significativo piano europeo per gli investimenti di cui l’Italia è da sempre promotrice”. A rinforzo di tale posizione, lo stesso titolare del Tesoro ha annunciato una task force sugli investimenti, con l’obiettivo dichiarato di invertire il trend negativo degli investimenti pubblici.

Poi, quando mancavano pochi minuti alla fine dell’intervento, è arrivato l’acuto, sotto forma di attacco frontale all’attuale governance europea. Non poco per un ministro insediatosi da due settimane. “La nostra azione in Europa deve essere volta verso una profonda riforma delle istituzioni economiche dell’Eurozona: le gravi inadeguatezze che caratterizzano l’attuale equilibrio istituzionale europeo. L’area dell’euro ha obiettivi limitati, il sistema delle regole di bilancio non favorisce le spese per investimenti pubblici e consente squilibri della partite correnti, ci sono chiari problemi sul piano del coordinamento necessario tra politica monetaria e politiche di bilancio”. Per questo è necessario, ha aggiunto, “che l’architettura economica che governa l’area valutaria comune sia indirizzata alla crescita e alla convergenza. Ne trarrebbero beneficio sia l’Italia che l’Eurozona”.

All’Europa le parole di Tria sono piaciute molto. Fonti dell’Eurogruppo infatti hanno parlato di “grande soddisfazione” tra i diversi Stati membri.

Piccola nota a fondo pagina. La maggioranza alla Camera (330 sì) ha approvato la risoluzione di maggioranza che nella sostanza chiede più flessibilità all’Europa. Questa sarà la base di partenza del Def, a settembre. Poi, documento alla mano, si andrà a Bruxelles.


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