Più di 400 anni prima della nascita di Gesù Cristo, in Grecia, Sofocle scrisse la tragedia che ha al suo centro la storia e la figura di Antigone. Di tutta quella complessa ed eterna vicenda qui ci riguarda il rapporto tra Antigone e suo fratello Policine, ucciso in combattimento. Erano i tempi della guerra per il regno di Tebe, cui anche Policine ambiva, ma il nuovo re, Creonte, considerandolo un traditore ordinò di lasciare il corpo di Policine lì dove era morto, in balìa degli eventi e dei cani. Ma Antigone, mossa dall’affetto di sorella e appellandosi alle leggi divine che impongono pietà per i morti, disobbedì al decreto. È da allora, cioè da circa 2500 anni, che la civiltà considera l’assicurare degna sepoltura a chi muore il proprio cardine, distintivo rispetto alla barbarie. Nei tempi moderni sappiamo che questo principio sacro per la civiltà ha determinato in tante delle guerre che si dicevano convenzionali “tregue per soccorrere i feriti e seppellire i defunti”. Per trovare questo principio non rispettato dobbiamo ricordare l’eliminazione di Osama bin Laden: gli enormi rischi che sarebbero potuti derivare da una sua tumulazione insieme al rischio di creare un tempio del male indussero a gettare il corpo in mare. Non deve essere stata una decisione facile nonostante la portata globale del suo messaggio di disumanizzazione dell’uomo.
Questo caso non ha certo intaccato l’universalità del principio e il suo valore fondante tanto che in Italia, si ricorderà, si discusse di un costoso intervento per recuperare le salme di un tragico naufragio di profughi, uno dei più numerosi e impressionanti. Ora è accaduto che una nave militare americana di transito nel Mediterraneo si sia trovata spettatrice di un naufragio e sia intervenuta. I militari della US Navy, secondo una prima versione che è stata diffusa sin dalle prime ore del mattino, avrebbero tratto a bordo, dal mare dove precariamente galleggiavano chissà da quanto, più di quaranta persone: con questi avrebbero recuperato anche i corpi di 12 affogati. Le cronache del mattino riferivano che dopo aver cercato contatti con Roma la US Navy Triton, senza celle frigorifere a bordo, aveva chiesto il soccorso di una nave per soccorsi in mare di proprietà di una Ong e che si trovava in zona. Anche loro però, proseguivano le ricostruzioni, hanno chiesto risposte sulla possibilità di poter trasbordare i profughi in Italia e, soprattutto per quanto qui interessa, non hanno celle frigorifere a bordo. Nella precarietà della situazione l’equipaggio americano si sarebbe posto il problema delle salme e deciso più conveniente per tutti una sepoltura in mare. La US Navy successivamente ha significativamente corretto, affermando di aver visto quei corpi, ma terminate le operazioni di salvataggio di chi rispondeva ne avrebbe constatato la sparizione. Chiarimento importante, ma ugualmente non si può non chiedersi se non sarebbe stato possibile in un contesto diverso trovare un’altra soluzione per quei poveri morti. Mezzi veloci che possono trasferire 12 corpi senza vita e così garantirne la degna sepoltura esistono di sicuro. Sarebbe stato importante. Perché?
Recentemente un volontario di Open Arms ha raccontato il tragico caso di Uluana. Questa giovane originaria dell’Africa subsahariana, uscita in condizioni penose da qualche struttura libica, è arrivata completamente ustionata a bordo del gommone che doveva portarla in Italia con tanti altri. È difficile resistere da ustionati sotto il sole, per ore o giorni, con i piedi nell’acqua salata e nel kerosene, e gli spruzzi del mare sul corpo. Uluana si trovò subito in gravissima difficoltà e i disgraziati che erano a bordo di quel barcone con lei cominciarono a intonare un canto, ripetendo il suo nome. Sperando che la loro melodia fosse forte e attraente come quella delle sirene hanno tentato di curare così la sua voglia di farcela e i suoi dolori carnali, trattenendola in vita. Ci sono riusciti per ore, poi Uluana se n’è andata. Ma quando sono arrivati sulla terra ferma, a Lampedusa, quel volontario raccolti i loro racconti ha deciso che doveva cercare la salma di Uluana. E chiedendo a chi dà onesta sepoltura ai profughi l’ha trovata. C’era un numero sul tumulo di Uluana, grazie a lui ora c’è il suo nome.
I 12 morti di cui con grande fatica si sono presi cura gli americani in servizio sulla Triton invece sono tornati a immergersi nel Mare Mostrum, un tempo lontano Mare Nostrum. Questa tragedia viene affrontata giustamente in cronache che seguono poi i destini dei sopravvissuti. Ma per i morti il destino non sarà quello di Uluana, che per fortuna riposa sotto una una targa che la ricorda su questa terra.