Non siamo in tempi ordinari, soprattutto nel campo del pensiero religioso, e così la presenza di Papa Francesco al vertice della Chiesa universale non deve far ritenere che le cose siano diverse da quel che sono. Ad esempio, in questo tempo può accadere che un autorevole testata statunitense, di orientamento conservatore, pubblichi un saggio, tanto erudito quanto lungo, nel quale si tenta di avviare un delicato processo di riabilitazione della Santa Inquisizione. Lo stesso Torquemada sarebbe stato vittima di una rappresentazione fuorviante, stando a quando scrive sul National Review Ed Condon.
Recentemente un suo articolo aveva sollecitato il papa a non accettare le dimissioni dei vescovi cileni, ma lasciare che la giustizia seguisse il suo corso (il papa invece ha già accettato quattro dimissioni dopo aver appurato che in Cile c’erano stati insabbiamenti di casi di pedofilia). In questo tempo complesso accade che un gruppo di donne decida di riunirsi, varare un proprio documento e presentarlo in diverse città italiana: “Manifesto delle donne per la Chiesa”. Tema importantissimo se si considera che le donne cattoliche sono 600 milioni. Si tratta di incontri che si svolgono in locali parrocchiali ovviamente. Dopo diverse iniziative, constatato l’interesse, è arrivata la decisione di farlo anche a Roma. Lì per lì le promotrici hanno pensato che una città del genere il problema sarebbe stato quello di scegliere la data giusta, non quello di trovare una parrocchia. E invece… Invece la ricerca è stata lunga, molti parroci hanno parlato dei tanti impegni: insomma c’è voluta Sant’Egidio, e la parrocchia di Santa Maria in Trastevere. Eppure è stato lo stesso papa a dire che quello del ruolo delle donne nella Chiesa è un tema cruciale, tanto da aver ribadito di voler porre una donna a capo di un dicastero vaticano. Perché tante difficoltà nell’affrontare un tema così rilevante?
Che una Chiesa afflitta da crisi vocazionali non intenda aprire al sacerdozio femminile ci può stare, che non intenda aprire neanche una discussione su questo punto ci sta di meno, perché discutere fa sempre bene, ma dimostrare una certa ritrosia a discutere del ruolo delle donne nella Chiesa può starci, nel 2018? Così, ascoltando relazioni e interventi all’incontro femminile di ieri, è emersa una storia interessante: quella di San Paolino da Nola, contemporaneo di Sant’Agostino. San Paolino scoprì il cristianesimo grazie alla donna che poi divenne sua moglie e con la quale si dedicò a tutelare tanti monasteri. Ma santo è lui, di lei si sono perse le tracce. È un fatto che pone in evidenza la carenza di quelle che oggi, grazie a Francesco, chiameremmo le “sante della porta accanto”, o le “sante ordinarie”. Non l’eccezionale Madre Teresa, non vedove, non vergini, non madri morte di parto, ma sante della vita quotidiana, che magari vanno al lavoro mentre sono madri, o che diventano madri mentre accudiscono gli anziani genitori e lavorano. Ecco allora il riferimento di una delle promotrici: “Ci sentiamo discendenti di un’antica tradizione di donne che hanno sentito risuonare nella loro vita la parola liberante di Gesù e l’hanno seguita, sono state da lui guarite, salvate, liberate. Donne che nei secoli però hanno sperimentato la sottomissione, l’estromissione da molte parti della missione ecclesiale, anche l’umiliazione di sentirsi figlie di seconda categoria”.
Basta fare due esempi per capire quale sia il problema: quello delle vecchia signora che desiderava tanto un figlio prete ma inorridiva all’idea di figlia suora e quello del suo impegno di parrocchiana: cosa faceva? La catechista! E perché? Perché le donne sanno stare con i più piccoli. E una laureata in “Economia e Commercio” non potrebbe badare ai conti parrocchiali? Sembra raro. Come restano poche le donne che insegnano teologia. Tanto poche che in Italia, dove la teologia è purtroppo materia di esclusiva competenza delle Università Pontificie (se fosse stato così anche in Germania il professor Hans Kung avrebbe dovuto lasciare l’insegnamento), le donne che frequentano i corsi di teologia sono poche. Ecco allora che si capisce meglio perché si sia detto che “il nostro incontrarci è anzitutto per dirci che amare la Chiesa non ci impedisce di volerla più coerente con il messaggio evangelico di uguaglianza e liberazione di Gesù Cristo e che vederne i limiti non ci impedisce di amarla.”
Solo le donne possono trovarsi a dover chiedere ancora oggi la possibilità di esprimersi in modo coerente con le loro competenze. Solo le donne possono trovarsi a sottolineare che i presbiteri dovrebbero avere un rapporto psicologicamente maturo con l’altro sesso.
Sentendo quanto avevano da dire e dirsi non si poteva che avere l’impressione che le donne nella Chiesa vivano non tanto diversamente da come vivevano nella società italiana pre ‘68. Nessuno oggi può ignorare gli eccessi di quel tempo, ma nessuno può ignorare i progressi oggi indiscutibili nella costruzione di una società non più patriarcale. Facciamo un esempio: Papa Francesco ha posto la Chiesa sul frontiera mondiale dell’accoglienza, del soccorso, dell’ospedale da campo. Si è mai visto un ospedale senza infermiere? Si può immaginare un ospedale oggi senza dottoresse, senza chirurghe? E quando ci si sposta nei Centri di ascolto, si può ascoltare, capire, interpretare, leggere, vedere solo con orecchie, lingue, pensieri, culture, sensibilità maschili?
L’incontro di venerdì, vigilia della festa dei Santi Pietro e Paolo, non rivendicava, si è detto più volte, ma sollecitava la Chiesa a riconoscere il potenziale che non sa usare.