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La diplomazia economica di Trump contro la Cina, tra Corea del Nord e Zte

trump pompeo

Davanti alla platea del Detroit Economic Club, il segretario di Stato americano, Mike Pompeo, ha parlato di “diplomazia economica”. La stella più brillante dell’amministrazione Trump ha spiegato che “[noi Stati Uniti] usiamo la potenza e l’influenza economica del potere americano come strumento di politica per aiutare l’America a raggiungere il suo interesse e promuovere i nostri valori in tutto il mondo”.

“Per troppo tempo l’America ha permesso che la struttura del libero commercio venisse distorta a vantaggio di paesi diversi dagli Stati Uniti, ricordiamoci che la nostra diplomazia mette prima di tutto il resto i lavoratori americani e la diplomazia americana”, ha aggiunto il segretario.

Due passaggi perfetti, una spiegazione chiara su quello che il presidente Donald Trump sta facendo. Il tema è quello del confronto commerciale tra Stati Uniti e Cina, ma anche con i paesi europei: i dazi, gli atteggiamenti protezionistici, ma anche il bilateralismo (approccio che la Casa Bianca preferisce al multilateralismo, vedere per esempio ciò che è successo all’ultimo G7). Trump è perfettamente convinto che usare la forza negli affari sia la strategia migliore, crede che la pressione data dal suo carisma e dalla potenza della nazione che si porta alle spalle possa risolvere qualsiasi situazione a proprio vantaggio.

Gli ultimi fatti di cronaca sono un esempio: “Se la Cina si rifiuterà ancora di cambiare le sue pratiche commerciali sleali e anche se insisterà nel varo di nuove tariffe come ha recentemente annunciato” allora alzeremo altre tariffe del 10 per cento su almeno 200 miliardi di prodotti cinesi importati dagli Stati Uniti, ha dichiarato lunedì Trump, mentre annunciava di aver dato mandato alle agenzie competenti di studiare i prodotti da colpire in un’eventuale seconda ondata offensiva contro le merci Made in China, bersaglio già pochi giorni fa dell’implementazione dei dazi-minaccia lanciati ad aprile (si parla di un valore di 50 miliardi di prodotti).

Pechino aveva già risposto in rappresaglia, annunciando in quel caso nuove tariffazioni di ugual valore sull’import dagli Usa, e il ministero del Commercio cinese ha già fatto sapere, dopo l’ultima minaccia trumpiana, che userà “forti contromisure” contro quello che definisce un “ricatto”. “Le ultime azioni della Cina – dice invece il presidente americano – indicano chiaramente la sua determinazione di svantaggiare in maniera permanente e ingiusta gli Stati Uniti, un fatto riflesso nel nostro enorme squilibrio commerciale (376 miliardi di dollari, ndr). Questo è inaccettabile”.

Il Prez bastona: la Cina deve cambiare queste pratiche “inique”, aprire i suoi mercati ai beni statunitensi e accettare relazioni commerciali più equilibrate con gli Stati Uniti. Poi la carota: ricorda “le eccellenti relazioni col presidente Xi Jinping“, col quale, dice Trump, continueremo a lavorare insieme su molte questioni. Però, ripete, la Cina, come tutti gli altri paesi del mondo (ivi compresi gli alleati occidentali, come gli europei, o il Canada), non dovrà più approfittarsi degli Stati Uniti sul fronte del commercio”.

La questione è complicata: la diplomazia economica è l’aspetto visivo, sotto si muovono intrecci più profondi. Trump sa, per esempio, che lo scontro commerciale aperto con la Cina può finire con l’intaccare le relazioni in modo serio e rovinare il lavoro su dossier molto complessi come quello nordcoreano; o forse potrebbe accelerare certe dinamiche. È un equilibrio delicato.

Oggi e domani, il satrapo Kim Jong-un è a Pechino, dove vedrà Xi con cui discuterà personalmente del vertice di Singapore, l’incontro storico con Trump: nonostante l’avanzamento del sistema diplomatico internazionale attorno alla crisi della Corea del Nord, la Cina è ancora il paese con più influenza su Kim.

È un gioco rischioso quello di Trump, che – come titola il suo libro – è un artista del deal, ma ha poca esperienza nelle trattative diplomatiche e di politica internazionale, però ha alle spalle la più grande potenza mondiale, e questo, come spiega Pompeo, è una forza. Su alcune cose stringe, i dazi per esempio, su altre allenta, le grandi relazioni che si vanta di avere con Xi. Lunedì uno dei punti di allentamento di questa strategia di pressione economica messa in piedi attorno alla Cina ha però subito uno smottamento.

L’amministrazione ha prima punito (ad aprile) con misure sanzionatorie la Zte, ditta cinese di telecomunicazioni a cui Washington aveva impedito la vendita di componentistica americana, cruciale invece per l’azienda. Poi il presidente era tornato indietro (siamo a maggio) e fatto in modo di proporre un accordo alla società di Shenzen (una decina di giorni fa), ma (come previsto) il Senato ha bocciato la svolta di Trump, ha inserito un emendamento in una legge sulla Difesa in cui conferma il divieto di vendita alla Zte considerandola una minaccia per la sicurezza nazionale.

Ora la legge tornerà alla Camera, che probabilmente la rimanderà indietro senza punizioni per Zte, perché i deputati sono più malleabili alle richieste del presidente, che però dovrà fare pressioni sui congressisti affinché uno dei punti di contatto che che l’amministrazione vorrebbe tener aperto nel confronto con la Cina non finisca minato.

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