Il governo gialloverde al test di gig economy. Per essere un lunedì, l’agenda di Luigi Di Maio è stata piuttosto fitta di impegni. Impegni pesanti, che di fatto aprono la stagione del Movimento Cinque Stelle al ministero del Lavoro e quello dello Sviluppo Economico. Due nomi su tutti, Foodora e Ilva. La prima risponde al nome della gig economy, la nuova economia che poggia su app e piattaforme informatiche, la seconda a una delle crisi industriali più drammatiche che l’Italia abbia mai vissuto (qui uno speciale di Formiche.net su Taranto). Questo pomeriggio il responsabile dello Sviluppo-Lavoro ha incontrato dapprima i cosiddetti riders, i pony espress in bicicletta che consegnano il cibo a casa e poi, a partire dalle 16, i lavoratori dell’Ilva.
LA CROCIATA GRILLINA CONTRO FOODORA
Un po’ di fatti prima di tutto. Di Maio, non appena preso possesso della sua stanza al ministero dello Sviluppo, ha lanciato subito la prima bomba. Riscrivere le regole d’ingaggio per i cosiddetti riders, i ciclo-postini del cibo con la casacca colorata che ormai popolano le nostre città. Il primo atto del capo politico del Movimento Cinque Stelle è il cosiddetto decreto-dignità, da applicare alla gig economy. In due parole, più tutele contrattuali per i riders e paga minima garantita. Musica per le orecchie dei ciclisti delle consegne, ma davvero un brutto rumore per i manager che gestiscono la più famosa tra le piattaforme in questione, Foodora (ma ci sono anche Just eat e Deliveroo), attiva nella consegna di pietanze.
DI MAIO INGAGGIA BATTAGLIA
La possibilità e la prospettiva che un pezzo di gig economy possa subire una stretta non piace nemmeno un po’ a Gianluca Cocco, manager a capo di Foodora Italia. Il quale ha fatto ricorso alla tradizionale forma di reazione: pronti a lasciare l’Italia. Attenzione però, perché i soldi in palio non sono pochi. Ad oggi i giro di affari delle consegne a domicilio a mezzo riders ammonta a poco meno di mezzo milione di euro. Costringere Foodora a dire addio all’Italia potrebbe dire anche rinunciare alla quota di tasse versate all’Erario. Eppure, Di Maio, ha deciso di giocare duro, rispondendo per le rime a Cocco: no ai ricatti, ne ora ne mai.
ALLA RICERCA DI UNA LEGGE
Il tema è comunque urgente, sia che i proprietari di Foodora lo vogliano o no. La gig economy è qualcosa di fresco, recente, ad oggi senza una regolamentazione precisa. C’è un caso su tutti, quello della Regione Lazio, la cui giunta ha messo in cantiere nei giorni scorsi la prima legge regionale sulla nuova economia. Una mossa che rafforza la scelta di Di Maio di approvare in tempo utile il decreto dignità per i ciclo-fattorini.
L’ASSE CON SALVINI NEL NOME DEI RIDERS
Nell’attesa di un primo confronto tra governo e riders che di fatto apre la strada a un successivo incontro tra i vertici di Foodora e lo stesso Di Maio, l’unica certezza è che Matteo Salvini sta al 100% con il capo del M5S. “Da ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico ho tutta la volontà di favorire la crescita di nuove attività legate alla gig economy e nessuno vuole demonizzare le attività legate all’uso di piattaforme innovative ma ho il dovere di tutelare i ragazzi che lavorano in questo settore. Pronta la sponda di Salvini: “È ora di smettere di trattare i lavoratori come pezze da piedi o numeri da consumare”. Chiaro no?
UN TAVOLO PRIMA DEL DECRETO
Il governo tuttavia, prima di mettere mano a un decreto, preferisce tentare la strada del confronto. Per questo al termine del vertice con i riders Di Maio ha proposto alle aziende della gig economy di aprire un tavolo di contrattazione tra i rappresentanti dei riders e i rappresentanti della piattaforme digitali. “Chissà che non si arrivi al primo contratto nazionale della gig economy. Mi è stato detto che sono disponibili, se poi il tavolo non dovesse andar bene interverremo con la norma che avevamo progettato”.