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Ecco come il Pd si sta riorganizzando (intorno a Paolo Gentiloni). Parla Nobili (Pd)

“È sacrosanto far rispettare i nostri diritti in Europa per non lasciare che l’emergenza gravi solo sulle spalle dell’Italia. Ma questo lavoro va fatto a Bruxelles e attraverso la diplomazia: quanto sta accadendo con l’Aquarius è indegno della storia di questo Paese”. Luciano Nobili è un fiume in piena: la decisione del governo di chiudere i porti alla nave di Sos Mediterranée, a suo avviso, è riuscita “in un solo giorno a cancellare quanto di buono è stato fatto in questi anni” sul tema immigrazione. Secondo il deputato e responsabile città metropolitane del Pd, quella dell’esecutivo altro non è che “un’operazione elettoralistica”, per di più lesiva degli interessi nazionali: “Un Paese isolato e in polemica con i suoi partner tradizionali è solo un danno per gli italiani”.

Nobili, però c’è chi obietta che qualcosa andasse pur fatto. Che ne pensa?

L’Europa deve fare la sua parte – non c’è dubbio – ma non è questo il modo per ottenerlo. Se Matteo Salvini vuole cambiare le regole dell’Unione vada a Bruxelles e non lasci in ostaggio del mare oltre 600 persone. Negli anni dei nostri governi l’Italia è stata in grado di garantire l’accoglienza ma anche di far ridurre sensibilmente gli sbarchi grazie all’azione dell’allora ministro dell’Interno Marco Minniti.

Ci vogliono meno muscoli e più diplomazia?

Salvini, Luigi Di Maio e gli altri mi pare non siano affatto entrati nella dimensione istituzionale necessaria a guidare un Paese come l’Italia. E poi aggiungo che se il ministro dell’Interno intende cambiare la strategia europea sull’immigrazione, non è che debba andare da Angela Merkel bensì dai suoi amici, da Viktor Orban e dagli altri del gruppo di Visegrad che bloccano il meccanismo di ricollocazione necessario a risolvere la situazione.

A vedere quanto sta accadendo non le viene da pensare che con voi al governo insieme ai cinquestelle tutto questo non sarebbe accaduto? Nel Pd c’è chi ancora rimpiange il “senza di me” renziano.

I porti li hanno chiusi loro, non altri. Questi primi giorni di governo dimostrano tutta la fragilità di un movimento politico bastato su un algoritmo e anche la loro natura di destra. Stanno seguendo i diktat della Lega. A Palazzo Chigi non c’è la destra di Salvini e una malintesa sinistra a cinquestelle: chi lo pensa, si sbaglia di grosso. Questo, a mio avviso, è il governo più di destra che l’Italia abbia mai avuto.

Dunque nessun ripensamento?

Il “senza di me” è stato sacrosanto. Quell’operazione avrebbe significato la fine del Pd: i cinquestelle ci avrebbero solo logorato per altri 15 giorni per fare poi comunque il governo con Salvini.

Eppure, anche dalle reazioni di queste ore sulla vicenda Aquarius, emerge come vi fosse all’interno del movimento anche una sensibilità più vicina al Pd. Non è così?

Qualche timidissima voce dissonante al loro interno esiste, ma il M5s ha un’altra natura. Il sindaco di Livorno Filippo Nogarin ha fatto un post ma in 15 minuti lo ha dovuto rimuovere. Quanto a Roberto Fico, è rimasto per troppo tempo in silenzio: la sua voce in questi giorni è stata flebile e inascoltata. Ha fatto bene ad andare nel villaggio di San Ferdinando ma non può certo bastare.

A proposito di voci dissonanti, come procedono la convivenza e i rapporti interni al Pd? 

Nel Pd ogni voce ha cittadinanza, ci mancherebbe altro. Dopodiché il nostro problema storico – che esiste di fatto da quando il partito è nato nel 2008 – è che si svolgono le direzione nazionali, si assumono le decisioni all’unanimità e poi, un minuto dopo, esce fuori chi contesta. Senza che magari abbia proferito una sola parola contraria durante il dibattito interno. È accaduto pure dopo la scelta di votare compattamente contro il governo con i cinquestelle. Nessun partito nei tempi veloci della politica del XXI secolo può sopravvivere sostenendo posizioni contrastanti su ogni questione e in ogni occasione.

Le divisioni, dunque, continuano?

Sono ottimista, mi pare che nel Pd stia prevalendo in questa fase un importante senso di responsabilità. Lo abbiamo visto quando il presidente della Repubblica Sergio Mattarella è stato ingiustamente attaccato e lo vediamo in queste ore con la vicenda dell’Aquarius. Questi segnali ritengo siano stati anche confermati dalle amministrative di domenica scorsa in cui abbiamo retto e da cui occorre ripartire.

Ma il tanto discusso partito di Matteo Renzi – con il ritorno alla situazione precedente alla nascita del Pd – si farà oppure no?

Questo rischio francamente non lo vedo. Semmai mi pare ci sia ancora qualcuno ossessionato da Renzi. Che, secondo me, rimane il principale leader del centrosinistra italiano per il semplice fatto che ha sempre ricevuto un consenso larghissimo da parte della nostra comunità. Ancora oggi è una voce importante e ascoltatissima. Ora si è dimesso, eppure c’è chi continua ad attaccarlo o perché parla o perché rimane in silenzio: è inaccettabile. Poi ovviamente ci sono anche altri leader consolidati e ascoltati.

A chi si riferisce?

Penso al reggente Maurizio Martina, a Paolo Gentiloni, al capogruppo alla Camera Graziano Delrio. E ricordiamoci anche i tanti nostri amministratori locali: sindaci in sintonia con i loro cittadini e con una capacità di raccolta del consenso che va oltre gli schieramenti politici nazionali. Dobbiamo ripartire da tutto questo.

Due domande rapide: quando si farà il congresso del Pd? E sarà Gentiloni l’uomo su cui punterà l’area renziana per la segreteria?

Non voglio tirarlo per la giacca ma credo che il nostro popolo veda in Gentiloni un punto di riferimento assoluto. Per il suo stile, per la sua personalità, per come ha saputo tenere la barra dritta nella fase di governo e in queste ultime settimane. Non so se Paolo intenda misurarsi con una sfida del genere ma qualora volesse sarebbe un candidato di altissimo profilo. Il congresso, invece, ritengo si debba fare al più presto, senza ansia ma in tempi rapidi. Una volta messa a punto l’opposizione al governo Salvini-Di Maio, dobbiamo partire.

Con o senza primarie?

I congressi del Pd si svolgono con le primarie, che sono nel nostro Dna. Non vedo altre soluzioni a meno che non si decida, come è possibile, di cambiare lo statuto. Ma non ne vedrei le ragioni onestamente. A regole vigenti da noi funziona così, con le primarie. Soprattutto in un momento come questo c’è bisogno di tornare dai nostri elettori.

Chiudiamo su Roma dove lei è stato anche vicesegretario dem. Come valuta i risultati del terzo e dell’ottavo municipio? (in entrambi i casi il M5s è rimasto fuori dai ballotaggi e in uno, all’ottavo municipio, il Pd ha vinto al primo turno con Amedeo Ciaccheri, ndr)

Il risultato del centrosinistra – da non sottovalutare – non è avvenuto per caso. Già il 4 marzo, nell’ambito della sonora sconfitta nazionale, il Pd aveva tenuto e vinto 4 collegi. E quello stesso giorno, in occasione delle regionali del Lazio, l’affermazione di Nicola Zingaretti era passata dal risultato di Roma. Credo che i romani abbiano voluto pesantemente sanzionare l’operato di questi anni dell’amministrazione capitolina. E’ questo il senso che attribuisco al voto di domenica. L’era di Virginia Raggi durerà ancora un po’ ma volgerà al termine: è bene che ci attrezziamo in fretta.

Però i critici, anche interni, sostengono che i due candidati del Pd nel municipio non fossero quelli voluti dalla segreteria del partito. Come risponde?

Il Pd Roma ha costruito coalizioni larghe. E non era scontato. E poi ha optato per primarie aperte, una decisione che ha pagato perché ha consentito ai romani di scegliere dal basso le figure da cui farsi rappresentare. Davvero non capisco cosa ci sia da polemizzare.

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