Che cosa accadrebbe se dovesse aprirsi lo spazio per una seconda primavera araba che destabilizzi i confini dell’Arabia Sadudita? Esiste il rischio che la Giordania possa assumere gli stessi contorni economico-sociali della Tunisia, con i medesimi riverberi che si sono visti con la rivoluzione dei gelsomini?
Sono alcuni dei quesiti che in questi mesi sono stati al centro di numerose analisi appaltate da tre stati del Golfo, con in testa il neo leader Bin Salman, per tutti MbS. Oggi la conclusione di quei report: Kuwait, Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti hanno promesso 2,5 miliardi di dollari alla Giordania nel tentativo di stabilizzare il regno mentre affronta le peggiori proteste degli ultimi anni dopo la sterzata del governo verso una forte austerità (aumenti delle tasse e aumenti dei prezzi).
PRESTITO-PONTE
La Giordania accusa un debito di 40 miliardi di dollari, che costringe il governo a pagare più di 1,2 miliardi di interessi ogni anno.
I denari che i tre presteranno alla Giordania andranno a finire in un deposito presso la Banca Centrale: copriranno le garanzie sui prestiti della Banca Mondiale per il regno, il sostegno diretto al bilancio sotto forma di depositi di denaro e finanziamenti ad altri progetti di sviluppo. In sostanza si tratta di un aiuto terzo ad un paese che deve affrontare una sorta di memorandum della troika per affrontare i 700 milioni di dollari di defici di bilancio.
La fase operativa è già stata definita, gli ultimi dettagli saranno affrontati nel (decisivo?) vertice di domenica prossima alla Mecca per discutere nel merito della proposta di legge sull’imposta sul reddito che in Giordania ha recentemente provocato alcune delle più grandi proteste degli ultimi anni. Ci saranno il re saudita Salman, il re di Giordania Abdullah II, l’emirato sceicco del Kuwait Sabah Al Ahmad Al Sabah e il principe ereditario di Abu Dhabi, lo sceicco Mohammed bin Zayed Al Nahyan.
Si parla di un prestito da 5 miliardi di dollari, come fatto trapelare da una fonte vicina al Consiglio di cooperazione del Golfo (GCC). Il motivo è da ricercare anche nelle dinamiche che si sono snodate a quelle latitudini nell’ultimo triennio: da un lato le percezioni popolari, che nascono come conseguenza di quel provvedimento legislativo ma più in generale come reazione ad un trend di sofferenza; dall’altro l’ascesa di Mohammed bin Salman ai vertici della leadership in Arabia Saudita che, secondo quanto dichiarato da un alto burocrate giordano ad Al Jazeera, avrebbero portato la Giordania a sentirsi emarginata o addirittura trascurata dai sauditi.
LA PIAZZA
Non solo le piazze della capitale Amman ma anche quelle di altre province sono state affollate da manifestazioni di protesta che chiedevano le dimissioni del governo e la cancellazione della legge fiscale in questione (infatti il premier Hani al-Mulki si è dimesso la scorsa settimana). Accanto a ciò il rischio sicurezza, con i recenti eventi che potrebbero creare un pericoloso precedente, ragion per cui i servizi sono in allerta già da settimane.
Ma perché adesso la crisi economica sta avendo un impatto differente in Giordania rispetto al passato? Da sempre il paese si è basato su sostegni esterni come il programma di assistenza da 3,6 miliardi di dollari che riceve annualmente dal Consiglio della Gulf Corporation, ma che lo scorso anno non è stato rinnovato. A ciò si aggiunga che sino ad oggi la Giordania ha ricevuto un prestito di 723 milioni di dollari dal Fondo monetario internazionale nel 2016 e ha messo in atto un piano triennale per ridurre i livelli di quel debito, un po’ come accaduto in Grecia.
La conseguente austerità ha prodotto l’aumento dei prezzi dei beni di prima necessità in tutto il regno, come carburante e pane mentre le bollette dell’elettricità sono aumentate di cinque volte nel solo 2018 rispetto ai dodici mesi precedenti. Nel paese inoltre sono presenti 650.000 rifugiati siriani.
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