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App economy, ecco perché Google garantisce libertà

Immaginatevi un mondo diviso in due: Google e Apple, un po’ come quando sulle macchine più veloci del mondo correvano Niki Lauda e James Hunt. Entrambi forti, entrambi capaci, ma con caratteristiche differenti. Uno più attento agli ingranaggi, l’altro con un occhio maggiore verso il proprio aspetto. In breve la querelle tra i due sistemi operativi più famosi al mondo può essere riassunta così. Ma andiamo più a fondo.

SISTEMA OPERATIVO: BREVE GUIDA

Per sistema operativo intendiamo un software capace di gestire il funzionamento del vostro pc, tablet, smartphone eccetera. È il ponte tra il dispositivo e quello che si vede all’interno dello stesso. Senza sistema operativo lo smartphone, ad esempio, è solo un involucro di plastica. Quando lo avete acceso la prima volta vi ricordate cosa avete visto, oltre alla parte introduttiva in cui vengono chiesti indirizzo email e lingua che si preferisce usare? Uno schermo dallo sfondo anonimo e spesso riempito di icone che identificano delle app. Ecco: queste sono state l’oggetto un approfondimento voluto dalla Commissione Europea che ha chiesto a Google chiarimenti in merito.

COOK VR PICHAI

Il software installato sugli smartphone Apple è quello iOS. Pensateci bene: lo avete mai visto su altri telefoni, se non in copie simili? No: il sistema operativo iOS è esclusiva dell’azienda a guida Tim Cook. Dall’altra parte abbiamo Google, che ha messo in campo il software Android, meglio conosciuto come “robottino verde”, celebre mascotte ora guidata da Sundar Pichai. Al contrario del brand dalla mela morsa, Google vende il proprio software a migliaia di produttori di dispositivi (hardware), che lo “inseriscono” all’interno degli stessi, personalizzandoli a livello soprattutto grafico e di funzionalità. Ricapitoliamo: Apple detiene iOS che è “immesso” all’interno degli iPhone; Google possiede Android che è installato all’interno di vari smartphone, come Samsung, Huawei e OnePlus, per dirne solo alcuni. Su questi, quando accesi, troviamo numerose app di Google, come Google Maps, Google Play e Google Search, e molte di queste sono di nostro uso quotidiano mentre altre no (e, in gergo, vengono chiamate bloatware).

SI PUÒ FARE?

La Commissione Europea nell’aprile del 2016 ha iniziato a indagare proprio su questo fatto: è giusto che ci siano app Google su smartphone che non sono di Google (l’unico smartphone di produzione Pichai è il Pixel, uscito per la prima volta nel 2016), capaci quindi di immagazzinare dati in maniera semplice? E la risposta è sì, perché lascia libero arbitrio, mentre Apple no, con i suoi pro e i suoi contro.

LE APP PRE-ISTALLATE (NON DA GOOGLE)

Quello che consegna Google alle aziende che vogliono installare il proprio software sugli smartphone è un sistema operativo aperto, che garantisce una pluralità di “sovrascritture”, che consentono non solo al produttore di personalizzare quello che vediamo sul telefono, ma anche agli stessi utenti di poter scegliere molte più impostazioni, tra le altre cose. Se con l’iPhone possiamo cambiare sfondo, suoneria e grandezza del font, con Android i più esperti user possono andare molto più a fondo, arrivando al cuore del sistema e creando quasi un nuovo smartphone: lo schermo del telefono accesso può arrivare ad avere sembianze completamente diverse. Ma sono le aziende che producono hardware, (Samsung, Huawei, OnePlus) e solo loro a decidere quali app pre-istallare (quindi far torvare al proprio cliente alla prima accensione) sui propri device. Nessuno le costringe a istallare Google Maps, il che chiaramente avvantaggia Google, ma le installano per favorire l’utilizzo del dispositivo da parte del cliente. Non è sempre così, chiaramente, perché spesso accanto alle app utili vengono istallate app inutili che quindi occupano spazio prezioso. Ma le app Google, al contrario di quanto dichiarato dalla Commissione Europea durante la sua investigazione, non sono le uniche a poter essere installate, quindi non hanno esclusività.

GOOGLE, THANKS A LOT 

Chiaramente Google ricopre una posizione dominante, per esempio decidendo lui quando rilasciare una nuova versione del software, o quando far andare in disuso la versione del sistema operativo dei vecchi telefoni. Ma la verità è che Google, grazie al suo sistema operativo aperto a tutti, consente di avere un’enorme competizione nel mondo della telefonia prima impensabile. Se a oggi troviamo smartphone che vanno da 45 a 750 euro si deve a Google, che consente di dare un’alta tecnologia a basso costo. Fino a 10 anni fa, oltre all’iPhone, quali altri smartphone potevamo acquistare se ne volevamo uno a prezzi ragionevoli? Nessuno.

Grazie ad Android 1,3 milioni di sviluppatori di app possono dare sfogo alle proprie fantasie, 500 operatori mobili possono operare nel settore, 1300 aziende che producono device creano concorrenza positiva sul mercato. Inoltre un giganti del tech come Samsung sta provando a sviluppare il proprio sistema operativo: Tizen. Ma, per oram questo viene utilizzato solamente sugli smartwatch (Gear) e presenta app native Samsung, oltre a quelle Google, necessarie per attrarre più utenti a comprare gli orologi intelligenti.

Chiaramente ci sono anche dei lati negativi, ben noti agli addetti ai lavori, e il principale è la frammentazione. Un po’ come dare una stessa password a migliaia di produttori di smartphone che però non posso fare la prova del nove. Per esempio: se voglio passare da uno smartphone Huawei a uno Samsung, non avrò un passaggio così semplice come quello tra un iPhone 7 e un iPhone 8. Anche se le prime due aziende producono telefoni con lo stesso software questi non si parlano tra loro. L’altro problema è il rilascio degli aggiornamenti. Quando Google li lancia sul mercato non tutti gli operatori riescono a rilasciarli allo stesso momento, e soprattutto può capitare che ci siano errori (chiamati bug) causati dalle “sovrascritture” necessarie che ogni azienda deve per giocoforza implementare.

Google è senza dubbio un sistema operativo aperto che consente di avere più concorrenza, libertà di creatività, condivisione e fruibilità rispetto al suo quasi unico competitor.

 

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