Dopo infinite peripezie, colpi di scena e pericolosi strappi istituzionali, il cosiddetto governo del cambiamento, guidato dal professor Giuseppe Conte, ha prestato giuramento nelle mani del Presidente della Repubblica. Frutto di lunghe ed estenuanti trattative, la compagine governativa è composta da diverse anime. Non ci sono solo i fedelissimi dei due leader “non vincitori”, Salvini e Di Maio, ma anche un certo numero di ministri tecnici, che andranno ad occupare poltrone di assoluto rilievo. È il caso ad esempio del prof. Giovanni Tria, che guiderà il delicatissimo dicastero di Via XX Settembre, e del prof. Enzo Moavero Milanesi, che dalla Farnesina dovrà curare le relazioni con l’estero per conto di un governo accolto con scetticismo nei principali salotti internazionali.
Cosa produrrà un così variegato mix di stili e personalità? Cosa aspettarsi dall’azione di questa squadra? Sono giustificate le paure e le ansie della stampa europea e internazionale? Lo abbiamo chiesto a Vincenzo Scotti, presidente della Link Campus University e più volte ministro democristiano.
Presidente Scotti, la squadra di governo si presenta molto eterogenea, per storie personali, riferimenti politici ed esperienza istituzionale. Questo è un vantaggio o uno svantaggio per il nuovo governo? Sarà più difficile trovare un equilibrio all’interno dell’esecutivo?
Non è né un vantaggio né uno svantaggio, è una condizione obbligata, se guardiamo alla composizione del governo, dobbiamo rilevare che al suo interno non c’è nessuna forza politica che ha costruito la storia del nostro secondo dopoguerra e che il più antico partito è la Lega. La conseguenza quindi non può che essere l’eterogeneità dei percorsi dei componenti del governo che si accingono a guidare il Paese in questo difficile trapasso, dove sono cambiate totalmente le sfide alla politica e al tempo stesso sono cambiati radicalmente i riferimenti culturali e ideologici che hanno sino ad ora guidato il Paese, dobbiamo essere consapevoli che è questa la realtà della Repubblica.
Sarà quindi fondamentale il ruolo del presidente Conte per assicurare la coesione della squadra di governo?
Un altro cambiamento di cui è protagonista il nuovo governo riguarda proprio la figura del presidente del Consiglio. In questi quasi 25 anni di cosiddetta seconda repubblica abbiamo cercato di costruire una guida del governo molto leaderistica, basata sul leader e sul potere del leader, con i ministri che erano come degli assessori di un sindaco. Oggi quello che appare guardando la formazione del governo del cambiamento è una prospettiva nuova, quella di un governo a guida collettiva, collegiale e aperta alle diverse sensibilità. Il presidente del consiglio è un primus inter pares.
A livello internazionale il nuovo governo è stato accolto con sorpresa quando non con esplicito scetticismo. I timori dei nostri partner internazionali sono infondati?
I nostri partner internazionali si trovano di fronte a un problema, inteso come grande cambiamento, che non è solo italiano, ma è presente a livello mondiale. Il prossimo anno voteremo per il parlamento europeo (PE), che dovrà poi eleggere la nuova Commissione. Quello che appare all’orizzonte è una composizione del PE che farà sempre meno riferimento alle culture del novecento, socialisti, popolari. Sarà sempre più dominato da forze e movimenti che non hanno riferimenti a quelle culture che hanno creato l’Ue. Anche in Europa si continua a discutere come se l’Ue fosse ancora quella dei padri fondatori, invece è cambiata. Negli stessi Paesi fondatori dell’Europa i partiti tradizionali sono sempre più marginali. Bisogna ripensare l’Europa, tutti dicono che bisogna cambiarla, ma io non ho sentito tra coloro che si sono detti preoccupati dalla composizione del nuovo governo sui temi dell’Europa dire in che modo cambiare l’Ue. Lo stesso Pd che dice di essere il partito dell’Europa, di quale Europa parla? Gli stessi premier dei democratici ha mostrato insofferenza per politiche e istituzioni dell’Ue. I giudizi che vengono dati sul governo italiano spesso sembrano chiudere gli occhi di fronte ai problemi reali dell’Europa.
Il nuovo governo, come ha detto il presidente Conte nel suo primo discorso, confermerà la posizione internazionale dell’Italia? O dobbiamo attenderci cambiamenti anche rispetto alle nostre alleanze internazionali?
Anche qui bisogna capirsi. C’è sicuramente un problema di continuità di linea che va assicurata ma anche di adeguamento alle nuove realtà. Dopo la seconda guerra mondiale il mondo ha costruito una fase di trasformazione e di sviluppo basandosi su una cultura del multilateralismo che ha caratterizzato Onu, Nato e Ue. Oggi c’è una tendenza opposta, che spinge a uscire dai vincoli multilaterali e dalle responsabilità dei trattati internazionali, gli Usa sono l’esempio più eclatante. La continuità sta nel saper affrontare e guidare i cambiamenti che derivano dalle sfide diverse che sono sul tappeto. I rapporti Usa-Europa, che non sono più quelli dei tempi del Piano Marshall, il ruolo della Nato che non si trova più in un mondo non più bipolare, ma deve gestire delicati rapporti tra Usa, Europa e Russia. C’è poi per l’Europa il tema del Mediterraneo, dove operano attori molti eterogenei statali e non. Occorre quindi adattarsi al nuovo contesto ma assicurando continuità, evitando strappi e scontri e preservando alla cultura della solidarietà e dell’integrazione. La risposta del cambiamento deve essere all’interno di una linea di valori fondamentali che nella storia dell’umanità sono stati fondanti.