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I danni (irreparabili) del debito pubblico su aziende, banche e Stato

Non c’è dubbio che la perdurante incertezza politica, abbinata ad una serie di proposte improbabili, abbia contribuito non poco a far scattare tutti gli allarmi sulla tenuta del nostro debito pubblico. E, poiché questa pericolosa variabile viene attualmente trattata con una certa disinvoltura, forse è il caso di fare qualche considerazione a riguardo.

Innanzitutto, va premesso che l’eccesso di indebitamento è una variabile delicatissima in quanto trasversale: colpisce indistintamente, producendo danni anche irreparabili, la persona fisica, la famiglia, l’azienda, la banca e lo Stato. Ed è anche una variabile subdola in quanto, crescendo spesso in maniera asintomatica, riesce spesso a sottrarsi a tempestivi interventi curativi. Ipotizziamo, ad esempio, che un imprenditore, trovandosi in una condizione di spread positivo (il ritorno reddituale generato dal suo business supera il costo del credito bancario utilizzato) decida di finanziare la sua attività utilizzando massivamente l’indebitamento in alternativa al capitale proprio.

Il problema è che, così facendo, inserisce nei tessuti della sua azienda un virus subdolo che, finché rimane latente, non crea particolari problemi all’azienda. Tuttavia, nel momento in cui dovesse intervenire un fattore esterno capace di ridurre i flussi in entrata o di far innalzare il costo del credito bancario, la situazione potrebbe degenerare. Infatti, l’imprenditore potrebbe entrare in una spirale di spread negativo nel quale i margini reddituali non riescono più a coprire gli oneri finanziari applicati ad un fardello di indebitamento accumulatosi nel periodo delle vacche grasse. Dunque il virus dell’indebitamento, rafforzatosi grazie ad un imprenditore convinto dell’immutabilità delle condizioni esistenti, finisce per contagiare subdolamente l’azienda rendendone complesso il salvataggio.

Analogamente, l’eccesso di indebitamento appare particolarmente pericoloso anche per le banche. Ben lo sanno gli istituti spagnoli che si indebitarono massicciamente sul mercato dei capitali pur di finanziare una speculazione immobiliare/turistica che pareva inarrestabile. Anche in questo caso, finchè la speculazione tenne, il virus dell’eccesso di indebitamento rimase latente senza creare particolari danni. Ma quando la bolla immobiliare esplose, le banche spagnole si trovarono strette in una morsa: da una parte le società immobiliari ormai incapaci di far fronte ai loro impegni finanziari e, dall’altra, il peso del proprio indebitamento cresciuto a dismisura in assenza di adeguato patrimonio. Solo l’intervento di salvataggio del Fondo E.S.M da 100 mld, evitò nel 2012 conseguenze drammatiche. E non è un caso che la Vigilanza, nell’ambito degli Accordi di Basilea 3, abbia imposto alle banche di rispettare, oltre ai parametri patrimoniali e di liquidità, anche parametri in grado di limitare l’eccesso di indebitamento. Ma, se il virus dell’indebitamento è così pericoloso sia a livello di aziende sia di banche, sicuramente lo è ancor di più a livello di Stato perché si trasforma in un rischio sistemico. Se poi questo rischio è in capo alla terza economia dell’Eurozona e supera i 2300 miliardi di euro, non è difficile comprendere le preoccupazioni dei partner europei. E questo per due motivi.

Il primo è che, come visto anche per aziende e banche, un debito abnorme, ancorchè ben gestito, rende comunque il nostro equilibrio economico – finanziario vulnerabile a shock esogeni in grado di far avvitare il meccanismo. E non ci aiuta neanche il fatto che circa 330 mld di titoli pubblici siano detenuti dalle nostre stesse banche perché questa commistione tra rischio stato e rischio banche è ormai sotto tutti i riflettori.

Il secondo motivo è che il nostro debito è come un altoforno che non può mai essere spento e che deve essere continuamente alimentato ogni anno con circa 400 mld di nuovi titoli di stato e circa 65 mld di interessi. E questo vuol dire che i nostri titoli pubblici non sono solo esposti agli shock improvvisi, ma anche al sentiment dei mercati, ossia alle paure, alle ansie, alle elucubrazioni di questi ultimi. Si tratta di quel fattore “S” che ha dimostrato tutta la sua insidiosità nei momenti più delicati della crisi quando ha preso il sopravvento anche sui dati economici oggettivi rischiando di far precipitare la situazione (Novembre 2011). E allora, in questa situazione di equilibrio così precario, è indispensabile essere saldamente presenti in Europa per difendere le nostre peculiarità e le nostre esigenze. Pensare però di poter andare a Bruxelles e sbattere la scarpa sul tavolo come fece il potentissimo Nikita Kruscev all’Assemblea Generale dell’Onu nel 1960 non solo è ottimistico, ma è anche estremamente pericoloso.

(Articolo pubblicato sul settimanale MF/Milano Finanza)

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