“I benefici che l’Italia ricava sul piano internazionale dalla sua missione militare in Afghanistan sono largamente maggiori ai costi che è chiamata a sostenere”. Non ha dubbi l’ambasciatore Stefano Stefanini, già rappresentante permanente dell’Italia alla Nato e consigliere diplomatico del Presidente Napolitano. Chi la pensa come il deputato pentastellato Manlio di Stefano, che anche oggi durante il dibattito sulla fiducia alla Camera ha ribadito che il ritiro del contingente italiano in Afghanistan ci farebbe risparmiare, è totalmente fuori strada.
Il criterio meramente economicistico è assolutamente inadeguato per cogliere i benefici che l’Italia ricava dalla sua partecipazione alla missione in Afghanistan. Come si legge sul sito del ministero della Difesa, l’attuale contributo nazionale alla missione prevede, dal 1° gennaio al 30 settembre 2018, “un impiego massimo di 900 militari, 148 mezzi terrestri e 8 mezzi aerei, suddivisi tra personale con sede a Kabul, e contingente militare italiano dislocato ad Herat presso il TAAC-W”. Questo sforzo, ricorda Stefanini, “è certamente un’importante manifestazione di solidarietà verso gli alleati Nato, ma soprattutto rappresenta uno dei punti di forza della nostra politica estera”.
Infatti, dal 2014, la missione Nato Resolute Support ha sostituito quella precedente, per focalizzarsi sull’addestramento, consulenza ed assistenza in favore delle Forze Armate (Afghan National Security Forces – ANSF) e le Istituzioni afgane, tutte attività per le quali le nostre forze armate, sottolinea Stefanini, “sono dotate di capacità uniche e possono contare sull’expertise accumulata soprattutto dall’Unità multinazionale specializzata dei Carabinieri, che ha operato per la prima volta in Bosnia negli anni ‘90”. Inoltre, spiega l’ambasciatore, “per gli Usa la nostra partecipazione è estremamente importante. Anche ammettendo che l’Italia voglia imprimere una parziale nota di discontinuità nella sua politica estera, magari cercando di incoraggiare il dialogo con Mosca, “non potrà certo farlo tagliando i ponti con gli alleati, ma avrà piuttosto bisogno di mantenere un dialogo intenso con Washington per convincere i partner europei e internazionali”. Interrompere una o più delle nostre partecipazioni militari senza prima valutare e discutere con gli alleati sarebbe molto pericoloso. Il rischio, continua l’ambasciatore, “è quello di condannarsi all’isolamento”, una prospettiva questa catastrofica per una media potenza come l’Italia, “che non può certo muoversi da sola sul piano internazionale”.
Insomma, abbandonare i nostri alleati impegnati in un teatro difficile come quello Afghano non sarebbe un inizio incoraggiante per la politica estera di nessun governo, men che meno per il governo guidato dal prof. Conte, che è chiamato non solo a convincere gli alleati della propria affidabilità, ma anche a confermare, parole sue, “la collocazione europea e internazionale del Paese”.