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Cambiare sì, ma con calma. Salvini, Di Maio e la necessità del rinvio

Dal governo della decisione al governo dei rinvii. Giugno doveva essere un mese decisivo per le principali partite industriali del Paese. E invece l’esecutivo legastellato, a poco meno di un mese dal suo insegnamento ha preferito sposare la linea della cautela e dell’attesa. Gli esempi non mancano anche se la domanda di fondo rimane: è meglio attendere anche se non si sa bene cosa, oppure decidere in fretta col rischio di commettere qualche errore di valutazione?

Dalla loro Matteo Salvini e Luigi Di Maio hanno il recente insediamento arrivato peraltro in un momento delicato per l’economia italiana. Ma alla fine, anche cambiando l’ordine dei fattori, il prodotto non cambia e i tanti dossier sul tavolo di Di Maio, su tutti, sono ancora lì senza sapere quando verranno archiviati.

Primo esempio, l’Ilva. Ieri il governo ha accordato ai commissari dell’acciaieria una proroga dell’amministrazione straordinaria fino al 15 settembre, posticipando di due mesi abbondanti l’ingresso di Arcelor Mittal. L’acquirente franco-indiano si era più volte detto pronto a subentrare ai commissari fin dall’inizio naturale della procedura di acquisto, il 1 luglio, ma Di Maio ha preferito prendersi del tempo. La motivazione potrebbe essere ricercata nel mancato accordo tra Mittal e i sindacati in merito all’attuazione del piano industriale. Il gigante dell’acciaio punta a un’assunzione a regime di diecimila lavoratori, mentre i sindacati ne chiedono non meno di 14 mila.

A conti fatti e alla luce del nuovo rinvio, il futuro dell’Ilva è ancora tutto da scrivere. Lo staff di Di Maio ha assicurato che la proroga non avrà costi extra per lo Stato. Forse, ma bisogna considerare un aspetto. L’Ilva ha poca cassa e tirare avanti fino a metà settembre potrebbe essere non così semplice.

Da Taranto a Roma, l’altro rinvio eccellente riguarda la Cassa depositi e prestiti. Tre settimane fa, fiutando l’aria da ribaltone, il presidente Claudio Costamagna ha rinunciato ufficialmente al bis alla guida della Cassa. La cui governance si sarebbe dovuta rinnovare nelle due assemblee di fine mese, la seconda proprio oggi. E invece il rinnovo dei vertici è entrato in fase di stallo. Anche in questo caso, qualche spiegazione si può dare.

Mentre per la nomina del presidente i giochi sarebbero quasi fatti (a meno di clamorosi dietrofront dovrebbe essere Massimo Tononi), visto che spetta alle fondazioni bancarie azioniste indicare il presidente, per il ceo, oggi Fabio Gallia, l’ultima parola è del ministro dell’Economia Giovanni Tria. Il quale però in queste prime settimane di governo è stato impegnanto nel ribadire la fedeltà dell’Italia ai patti europei in materia di conti pubblici. Naturale quindi immaginare che il dossier Cdp non sia stato ancora esaminato a fondo dal titolare del Tesoro.

L’ultima partita, non meno importante delle altre, è Alitalia. Certo, i termini per la cessione della compagnia (e per il rimborso del prestito ponte da 900 milioni). Eppure per questo mese era attesa un’indicazione di massima su quello che vuole davvero fare il governo di Alitalia? Venderla? Ri-nazionalizzarla attraverso un nuovo ingresso nel capitale? Non è chiaro e per il momento non vi sono indicazioni chiare di sorta.

Ma il padre di tutti i rinvii potrebbe essere un altro e forse ben più pesante, almeno da un punto di vista politico. Quello della flat tax o del reddito di cittadinanza. Ma qui, entrano in gioco cause di forza maggiore, ben evidenziate ieri da Confindustria (qui il focus di Formiche.net). Della serie, non ci sono i soldi.

Chissà che alla fine non ci sia qualcosa di tragicamente vero nel tweet di questa mattina dell’economista Gustavo Piga. Il quale ha scritto. “Dopodomani scade per l’ottavo anno consecutivo il termine per la presentazione alle Camere del disegno di legge annuale per le Pmi. E indovinate cosa? Per l’ottava volta consecutiva non ci pensano nemmeno”.

 



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