La politica estera iraniana si è concentrata principalmente su quattro scenari: in Libano, con un maggiore sostegno a Hezbollah, in Yemen, con il supporto al gruppo sciita degli Huthi, a Gaza, con il rinnovato rapporto con Hamas e in Iraq-Siria, dove la presenza militare non si è mai arrestata. Meno è noto il tentativo di conquistare l’Africa, parte di una politica elaborata già negli anni ’80 dall’allora ministro degli Esteri Ali Akbar Velayati (oggi consigliere del Leader Supremo e mente del programma nucleare).
In un rapporto del 1984, reso pubblico solo nel 2011, la Cia aveva messo in guardia della presenza iraniana in Africa e della politica aggressiva negli Stati dell’Africa Orientale e Occidentale: rapporti con le minoranze sciite nei Paesi a forte presenza islamica, distribuzione di materiale anti-occidentale e anti-cristiano nei centri islamici, accordi economici per la fornitura di petrolio e acquisto di materie prime. L’obiettivo iraniano allora definito era creare un’atmosfera di ostilità tra cristiani e musulmani, finanziare i centri islamici radicali, creare dei gruppi paramilitari con adepti tra le minoranze sciite nei vari Paesi.
Negli anni ’90, l’Iran ha continuato ad operare in Africa attraverso le nuove ambasciate e centri diplomatici aperti dopo la rivoluzione del 1979, ma soprattutto attraverso il gruppo sciita libanese Hezbollah. Le comunità libanesi sciite nell’Africa Occidentale, la più grande in Costa d’Avorio, si sono insediate nel continente nel Primo Dopoguerra, mantenendo vivi i rapporti con il Paese d’origine e divenendo gruppi fondamentali nella vita economica dei Paesi di adozione. È proprio attraverso queste comunità che Hezbollah ha cominciato a creare una rete di rapporti locali per avanzare la politica iraniana in Africa.
Niger e Nigeria sono tra i Paesi di maggiore attività iraniana nell’Africa Occidentale, secondo uno studio del Center for Security Policy. Nel 2010, il governo nigeriano ha sequestrato 13 container di armi spediti da Hezbollah e destinate alle milizie sciite locali nel nord del Paese. Tre anni dopo, una cellula di Hezbollah è stata scoperta e smantellata dopo anni di attività nella città di Kano, uno dei due centri sciiti della Nigeria fondati da Ibraheem Zakzaky, leader spirituale islamico che dopo il 1979 ha ricevuto sostegno dall’Iran per diffondere l’Islam sciita, l’ideologia di Stato iraniana e creare uno Stato islamico in Nigeria. Il Niger ha un’importanza strategica per l’Iran, il cui programma nucleare richiede uranio, che il Niger possiede in generose quantità.
L’Africa orientale ha un’altra importanza strategica: l’accesso al mare. L’intensa attività diplomatica iraniana ha portato a una serie di accordi con Yemen, Djibouti ed Eritrea tra il 2006 e il 2009, con una presenza militare in Eritrea e in Yemen ufficialmente finalizzata a proteggere i vascelli iraniani dai pirati somali. Negli stessi anni si intensificano le relazioni Iran-Sudan. Nei porti sudanesi attraccavano navi con armi destinate ad arrivare a Gaza attraverso il Sinai. Nel 2012 un bombardamento attribuito a Israele di un deposito di armi in Sudan ha lanciato un un chiaro messaggio alla Repubblica Islamica. Due anni dopo, una nave registrata a Panama, la Klos C, viene intercettata nel Mar Rosso dalla marina israeliana: partita dall’Iran e diretta a Port Sudan, la nave trasportava cemento e un’ampia serie di armi (mortai, armi da fuoco, missili). Oltre a Hamas, anche altri gruppi terroristici in Somalia sarebbero finanziati dall’Iran.
Altra via di influenza è l’attività culturale: attraverso gli istituti culturali, come quello in Kenya, l’Iran diffonderebbe l’Islam sciita e la dottrina khomeinista, facendo leva sulle comunità sciite locali e su altri leader religiosi islamisti.
Ad opporsi all’influenza iraniana in Africa è stata anzitutto l’Arabia Saudita, che con una serie di manovre politiche sarebbe riuscita a diminuire la presa sciita sul Senegal. Di seguito, vi è stato l’Egitto, che sotto l’allora presidente Mubarak, aveva lanciato una serie di operazioni militari per soffocare i gruppi sostenuti dall’Iran e aveva addirittura minacciato rappresaglie più massicce. Durante la breve presidenza di Morsi, Egitto e Iran hanno conosciuto un primo riavvicinamento, per la vicinanza ideologica tra khomeinismo e ideologia della Fratellanza Musulmana. Il ritorno alla via pro-americana con al-Sisi ha riportato l’Egitto sull’asse anti-iraniano.
Oggi è il Marocco a opporsi all’influenza iraniana. Una settimana prima dell’annuncio del ritiro dall’accordo sul nucleare di Trump, il Marocco interrompe le relazioni diplomatiche con l’Iran. Dopo anni di lavoro di intelligence, il Marocco avrebbe consegnato al Ministero degli Esteri iraniano un rapporto dettagliato che proverebbe i legami tra Iran, compresi alcuni dei suoi diplomatici, Hezbollah e il Fronte Polisario, il gruppo terroristico separatista impegnato nella lotta contro il Marocco assistito militarmente da Hezbollah (compresi gli addestramenti e il “trasferimento tecnologico” per la costruzione di tunnel sotto il muro nel Sahara Occidentale). Inoltre, all’inizio di quest’anno il Marocco avrebbe rivelato un’operazione condotta da Hezbollah finalizzata alla conversione ideologica delle comunità marocchine nell’Africa Occidentale al khomeinismo. Il Marocco è molto attento all’influenza ideologica iraniana in Nord Africa, e si oppone alla presenza politica e militare che destabilizza il Paese (con il finanziamento di Polisario) e il suo dominio regionale delle coste atlantiche.
Irina Tsukerman, in un articolo pubblicato dal Besa Center, spiega che alla presenza iraniana in Africa si aggiunge anche l’ambigua politica del Qatar, che sosterrebbe Polisario e altri alleati iraniani in funzione anti-saudita, pur avendo stretto un accordo con gli Usa in cui si impegna a non finanziare gruppi terroristici legati all’Iran. Secondo la Tsukerman, la decisione del Marocco metterebbe in una strana posizione il Qatar, che tenta di stabilire una nuova alleanza con gli Stati Uniti, mantenendo l’ostilità anti-saudita. D’altra parte, la posizione del Marocco rafforzerebbe l’asse americano-saudita-egiziano contro l’Iran e la sua attività destabilizzante.
Saprà il fronte saudita-egiziano-americano, cui pare essersi aggiunto anche il Marocco, lanciare una controffensiva all’Iran? Per ora, la decisione di Trump di ritirarsi dal Jcpoa sta avendo risultati. Nonostante la prima serie di sanzioni entrerà in vigore solo in agosto, molte società si sono già ritirate dal mercato iraniano, riportando la Repubblica Islamica nella crisi economica.
Una nuova ondata di proteste occupa l’Iran, questa volta assieme ai commercianti del bazar-e bozorg di Teheran, il gran bazar cuore della vita commerciale della capitale e dell’Iran. Non solo studenti e giovani, ma anche commercianti si sono uniti alle proteste contro il regime e la sua politica. Se i commercianti, per la maggior parte conservatori pragmatisti, hanno chiarito che la loro protesta riguarda la politica economica e non il regime, gli altri manifestanti hanno espresso una chiara critica al leader supremo, Ali Khamenei e alla politica estera militare iraniana. “Pensate a noi e non a Gaza” è uno degli slogan di frustrazione, secondo vari giornali internazionali, che i manifestanti urlano nelle proteste.
Non si sa dove le proteste porteranno – una rivolta che faccia cadere il regime è improbabile senza un’ampia base di consensi o un minimo coordinamento – né come il regime reagirà – darà ordine alle forze dell’ordine di reprimere le proteste nel sangue correndo il rischio che gli stessi militari si uniscano ai protestanti?
Tuttavia un cambiamento della politica iraniana è prospettabile per via della crescente pressione internazionale (occidentale, nordafricana e mediorientale) e interna.