Una nuova legge approvata alla prima votazione ala Knesset (il parlamento israeliano) intende modificare la procedura di nomina dei consulenti legali dei vari ministri, dando loro più potere nella scelta dei candidati. La discussione del testo di legge alla Commissione Affari Costituzionali e Giustizia si è trasformata in uno scontro tra la ministra Ayelet Shaked, l’Avvocato di Stato Avichai Mandelblit e il giudice della Corte Suprema Elyakim Rubisntein.
“Mi aspetto che l’avvocato del ministero avanzi la politica del ministro e non una politica personale”, ha detto la ministra di Giustizia Ayelet Shaked, che non vede nessuna contrapposizione tra stato di diritto e nomina di avvocati di Stato in linea con la politica dei ministri. Mandelblit ha messo in guardia da potenziali rotture con lo stato di diritto, mentre Rubinstein ha dichiarato che la proposta di legge è una politicizzazione del lavoro giuridico.
Non è la prima legge molto discussa proposta e appoggiata dalla ministra Shaked. A maggio il Gabinetto di governo ha approvato una legge proposta dal parlamentare Bezalel Smotrich, discusso conservatore dalle posizioni apertamente anti-arabe e anti-Lgbt, per cui le leggi dichiarate incostituzionali dalla Corte Suprema possono essere riapprovate dalla Knesset.
La discussione sul futuro dello stato di diritto in Israele si è riaccesa e va oltre le divisioni tra destra e sinistra. La Corte Suprema è considerata dalla destra conservatrice una roccaforte del liberalismo di sinistra che immancabilmente si oppone alle iniziative della destra. La sinistra considera la Corte Suprema troppo indulgente nel giudizio di costituzionalità sugli atti del governo e dell’esercito.
I sostenitori delle riforme proposte dal gruppo “Ha-bait ha-yehudi” (la casa ebraica) sostengono che Israele stia traversando una crisi politica dovuta alla sovraesposizione politica della Corte Suprema, che imporrebbe una visione liberale sugli altri poteri, con l’argomentazione “i giudici non eletti vogliono dettare le regole a governo e parlamento”. Le critiche alla proposta di legge vengono ora dalla stessa destra.
I partiti di centro e centro-destra (la lista di Kahlon e parte del Likud) hanno dichiarato che non voteranno a favore. Il parlamentare Benny Begin, del Likud, figlio del leader Menachem Begin, ha criticato due anni fa la legge che definisce Israele come Stato-nazione del popolo ebraico, mettendo in guardia dal montante populismo di alcuni gruppi politici. Gli stessi Mandelblit e Rubinstein non sono conosciuti per appartenere all’ala di sinistra, al contrario.
Le spinte nazionaliste che muovono da sentimenti nazionalisti sono proprie di molte democrazie, e forse è questa la crisi comune alle repubbliche occidentali. Proprio con l’abuso della parola democrazia e la strumentalizzazione della volontà popolare spesso si tende a far breccia sull’equilibrio di poteri che in nessuna democrazia vivono senza i rispettivi controlli e limiti.
In questo clima nascono però comunanze di interessi inaspettate. Altra proposta di legge molto discussa è quella sui muezzin, che vieterebbe l’uso di altoparlanti per l’adhan, la chiamata alla preghiera islamica. La proposta, avanzata da dal parlamentare Motti Yogev del partito Ha-bayt ha-yehudi, non riesce ad esser presentata in parlamento. I partiti haredi (ultra-ortodossi) Shas e Yahadut ha-Torah (ebraismo della Torah) hanno dichiarato la settimana scorsa che voteranno contro la legge perché “è una legge che fa arrabbiare e non ha senso”. Gli stessi partiti si sono opposti alla legge solo stato-nazione del popolo ebraico e non pochi sospettano che il loro voto sia dettato da un accordo con i parlamentari arabi della Lista Unita, la terza forza politica della Knesset, che in cambio voterebbero contro la legge che impone la leva ai haredim e in favore della legge che impone la chiusura degli esercizi commerciali durante lo shabbath. Entrambe le parti negano che vi siano accordi.