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Kushner e Greenblatt cercano sostegno per il “Deal of the Century”, ma quando proporranno il piano di pace?

Stati Uniti kushner

L’amministrazione Trump ha vari progetti per un nuovo Medio Oriente: contenere l’Iran e arrivare a un accordo tra israeliani e palestinesi. La ridefinizione delle alleanze con i Paesi della regione per contrastare l’influenza iraniana serve anche al conflitto arabo-israeliano. Israele e i Paesi arabi alleati Usa hanno interessi comuni: il comune pericolo iraniano, il terrorismo e ovvi interessi economici. Nello scenario di collaborazione regionale anti-iraniana, gli Usa vogliono anche trovare sostegno per il piano di pace del secolo.

I palestinesi hanno rifiutato preventivamente ogni proposta di accordo americana dopo la decisione dello spostamento dell’ambasciata a Gerusalemme, mentre cercano indebolire l’influenza americana che percepiscono come ostile ai loro interessi. Il portavoce di Abbas ha dichiarato, così riporta il giornale al Hayyat al-Jadida, che gli Stati Uniti non hanno legittimazione palestinese quindi ogni loro proposta è nulla, mentre li accusa di voler falsificare la storia tentando di comprare il consenso dei Paesi vicini con aiuti umanitari e finanziamenti. Gli israeliani sono speranzosi in vista del piano di pace americano, anche se Nikki Haley aveva avvertito mesi fa che “né israeliani né palestinesi saranno felici della proposta americana”.

Per costruire una rete di sostegno regionale, Jared Kushner e Jason Greenblatt hanno visitato questa settimana Arabia Saudita, Giordania, Qatar, Egitto e Israele. Sula stampa sono emerse solo due questioni oggetto dei vari incontri: la situazione umanitaria a Gaza e la questione di Gerusalemme. Dopo l’incontro al Cairo, al-Sisi avrebbe espresso sostegno per un accordo che comprenda il ritiro israeliano alle linee armistiziali del 1949 (i cosiddetti confini del 1967) e Gerusalemme Est come capitale palestinese. Secondo quanto riportato da al-Masri al-Youm, anche il Re di Giordania Abdullah II avrebbe la stessa posizione.

Il tour americano ha compreso anche Arabia Saudita e Qatar, l’emirato di Shekh Tamim bin Hamad al Thani i cui rapporti con gruppi islamisti radicali, incluso Hamas, non contribuiscono alla stabilizzazione della regione. L’importanza di includere il Qatar nella rete di sostegno al piano americano è dettata da due fattori: il Qatar ha un’ambigua relazione con molti dei gruppi islamisti che svolgono attività terroristiche, e il dirottamento di fondi da Hamas alla popolazione di Gaza potrebbe aiutare ad alleviare la crisi; in secondo luogo, il Qatar gestisce la rete televisiva al Jazeera, molto influente nel Medio Oriente e anche in Occidente, e che potrebbe giocare un ruolo centrale nel cambiare la percezione di Israele e del piano di pace.

Kushner e Greenblatt hanno infine incontrato anche Netanyahu. Gli Stati Uniti avrebbero in progetto l’elaborazione di soluzioni alternative al blocco israeliano ed egiziano di Gaza, per mettere fine alla crisi umanitaria e mantenere la sicurezza di Israele ed Egitto – la cooperazione nella lotta al terrorismo è stata poi centrale nelle parole di al Sisi come futura collaborazione tra i due Stati, secondo quanto riportato da al Sharq al Awsat. Gerusalemme rimarrebbe la questione più delicata. Secondo quanto riporta Times of Israel, gli Usa riconoscerebbero Gerusalemme come capitale di Israele, a cui richiederebbero di ritirarsi da alcuni quartieri arabi (come probabilmente Issawiya, Jabl Mukabber, Shuafat e Bet Hanina), mentre proporrebbero Abu Dis come capitale della Palestina (che de facto già è). Saeb Erekat, negoziatore palestinese, ha reagito all’incontro accusando Usa e Israele di star tramando un piano per indebolire i palestinesi, dividere West Bank da Gaza, eliminare l’UNRWA per non dar sostegno ai rifugiati palestinesi e sovvertire l’Autorità Palestinese.

Il piano americano prevederà senz’altro anche il ritiro israeliano da parti della Cisgiordania. Benché più del 70% della popolazione israeliana nei territori contesi abiti in insediamenti contigui alla Linea verde, altri insediamenti dovranno esser destinati al ritiro e non sarà semplice per Netanyahu gestire l’eventuale crisi con le frange più oltranziste che si oppongono a qualsiasi compromesso territoriale. I palestinesi percepiscono il pragmatismo americano come una minaccia alla posizione massimalista che fondamentalmente non cerca un accordo. Gli altri Stati arabi potrebbero giocare un ruolo centrale non solo per convincere l’Autorità Palestinese a cedere sul diritto al ritorno dei profughi palestinesi, ma anche per cambiare la percezione di Israele nell’intero mondo arabo.

Non si sa quando il piano di pace sarà ufficialmente proposto. L’aspetto che ancora rimane spinoso è come il mondo arabo potrà presentare un’eventuale accordo di pace che riconosca Israele, in un clima di ostilità coltivato da stampa e scuole per decenni. In particolare, non è chiaro come un’eventuale appoggio arabo potrà rafforzare l’Autorità Palestinese, i cui consensi tra la popolazione sono ai minimi storici per quella che è percepita come una debolezza politica nelle trattative con “l’occupazione”. Infine, se è vero che le alleanze americane possono servire ad avanzare il piano di pace, bisogna tener conto anche del clima di crescente tensione ai confini israeliani: Hamas a Gaza ha ripreso la guerra con gli aquiloni incendiari, mentre in Libano si esercita con Hezbollah dopo aver ristabilito i rapporti con l’Iran. Non è ancora chiaro come la strategia americana intenda trattare questi aspetti.



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