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La nuova Italia è di Matteo Salvini? Il dibattito è aperto

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Una “Nuova Italia”: sia quella uscita dalle urne del 4 marzo, sia quella che sembra essere nata dopo la formazione del governo Lega-M5S. Ma soprattutto “Una nuova Italia” è il titolo del libro scritto da Matteo Cavallaro, Giovanni Diamanti e Lorenzo Pregliasco, edito da Castelvecchi, e che è stato presentato dall’associazione Lei non sa Chi sono Io nell’ambito del progetto #staybookish.

All’evento, oltre al presidente dell’associazione Stefano Ragugini, hanno partecipato Stefano Gallerani, che ha introdotto l’incontro, Andrea Picardi moderatore del dibattito e direttore della comunicazione di I-com, l’autore Lorenzo Pregliasco, cofondatore di Youtrend, Federica Zanella di Forza Italia, Antonio Zennaro del M5S e Massimo Ungaro del Pd.

Al centro del dibattito la leadership di Matteo Salvini che sembra essere diventato colui che detta l’agenda in queste primissime settimane di vita del governo Conte. Porre al centro dell’attenzione il tema dell’immigrazione, ha sottolineato Pregliasco, sia durante la campagna elettorale sia in questi ultimi giorni, sta pagando da un punto di vista del consenso per il leader della Lega. Proprio in queste ore, infatti, è stato diffuso dal Tg de La7 di Enrico Mentana il primo sondaggio che vede la Lega primo partito d’Italia. Il successo di Salvini sembra trasformarsi in una vera e propria Opa sul Movimento 5 Stelle, e appare indissolubilmente legata alla capacità del ministo degli interni di tenere alta l’attenzione dei media sul tema immigrazione.

È stata la stessa esponente di Forza Italia, Federica Zanella, ad ammettere la superiore efficacia della Lega di Salvini nel comunicare la proprie posizioni su questi argomenti; un’efficacia che si è manifesta – sempre secondo Zanella – soprattutto sui Social Network, territorio che la parlamentare di Forza Italia descrive come privo di regole, soprattutto rispetto alla televisione, che anche a causa della legge sulla “par condicio” limita la libertà dei vari partiti politici di farsi conoscere dagli elettori.

Sul versante del centrosinistra Lorenzo Pregliasco segnala due cose importanti. La prima riguarda il cosiddetto “mercato elettorale” a sinistra del Pd: sostanzialmente, come provato dal fallimentare risultato di Leu, quel mercato, almeno per una sinistra “establishment”, “governativa”, non esiste. La seconda annotazione riguarda direttamente Matteo Renzi e la sua leadership che, secondo il co-fondatore di Quorum, si è logorata in una sequenza di risultati elettorali negativi che iniziano con le regionali del 2015 e arrivano alle amministrative del 2017; ben prima – quindi – delle elezioni politiche dello scorso 4 marzo. Una leadership, quella di Renzi, rispetto alla quale però, ancora oggi, si fatica a vedere un’alternativa. Che tutta la sinistra viva un momento difficile da un punto di vista elettorale viene confermato dal risultato negativo di Leu, che non è riuscito ad erodere il consenso democratico; anzi, molti elettori che hanno lasciato il Pd si sono orientati sul M5S, tanto che un elettore su tre dei pentastellati ha precedentemente votato per i democrat. Il segnale più pericoloso dal voto del 4 marzo per i democratici, secondo Pregliasco, arriva dalle (poche) zone in cui il Pd aumenta i propri voti rispetto alle scorse elezioni: i collegi di centro delle città di Milano, Roma e Torino. Un’evoluzione che sembra cancellare il Pd dalla lista dei partiti di massa, per ritagliarli un ruolo tra i partiti di testimonianza, tanto da ricordare, nei toni della campagna elettorale e nella composizione dell’elettorato, il partito radicale.

Infine, si è tornati a parlare della leadership di Matteo Salvini e della sua possibile evoluzione: l’idea che molti presenti hanno condiviso è quella che il ministro degli Interni possa voler capitalizzare il suo altissimo consenso facendo precipitare il paese a nuove elezioni con l’arrivo del nuovo anno, mentre l’onorevole Zannaro del M5S ha ricordato, giustamente, come governare sia un qualcosa di paragonabile ad una maratona, un esercizio nel quale bisogna di sapere tenere il passo per lungo tempo, senza alcuna necessità di sprintare nei primissimi chilometri. L’esponente “grillino” ha poi ricordato come nel passato, da Bertinotti che fece cadere Romano Prodi a Bossi che si rese protagonista del ribaltone del primo governo Berlusconi, spesso e volentieri chi pensa di capitalizzare il proprio consenso facendo cadere un governo, viene punito dagli elettori per questa scelta azzardata.

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