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L’Europa, la strategia del “divide et impera” e il ruolo della Germania. L’analisi di Polillo

angela merkel, germania

Il “divide et impera” é una tecnica di dominio vecchia come il cucco. Gli storici la fanno, addirittura, risalire a Filippo il macedone. Negli anni dell’imperialismo fu la tecnica preferita specialmente dagli inglesi. E grazie ad essa Sua Maestà britannica fu in grado di controllare il suo grande impero. Lo schema di gioco era semplice: evitare che si formasse una massa critica capace di rovesciare rapporti di forza a favore del dominante.

La complicazione nasce quando sono in due ad esercitare la stessa pressione nei confronti dello stesso soggetto. Lo scenario descritto da Franco Venturini dalle pagine di Repubblica. Stati Uniti e Russia uniti nel progetto di disintegrare l’Europa, per togliere di mezzo un pericoloso concorrente. Obiettivo possibile, ma non privo di contraddizioni. Se questo fosse lo schema di gioco, il risultato sarebbe indeterminato. L’obiettivo raggiunto, comporterebbe, infatti, il forte rafforzamento di uno dei due contendenti. Ad un’Europa notevolmente indebolita corrisponderebbe la maggior potenza dell’orso venuto dal freddo.

Gli americani si rendono conto di questa contraddizione. Il che spiega la loro politica di stop and go. Il relativo establishment é, tuttavia, diviso, lungo una linea di faglia, che riflette interessi contrapposti. Da un lato il grande apparato finanziario che considera l’euro un fastidioso concorrente, che potrebbe, almeno in prospettiva, insidiare il ruolo del dollaro, come equivalente universale nei rapporti internazionali. Dall’altro i grandi gruppi industriali, dediti alle esportazioni, che invece considerano il mercato unico europeo, come una grande opportunità per i commerci. Capace di semplificare enormemente le procedure degli scambi.

L’avvento di Donald Trump, con la sua politica tesa a privilegiare il mercato interno americano (dazi e richiamo in patria dei capitali delle grandi multinazionali a stelle e strisce), rischia di far pendere il piatto della bilancia a favore del capitale finanziario. Il rischio di una politica, che si nutra di sentimenti anti europei, é quindi notevolmente cresciuto. Cosa può fare l’Europa per scongiurare questo possibile esito?

Qualche scheletro nell’armadio il vecchio Continente, purtroppo, lo conserva. Nel lontano 1973, la data é indicativa, il rapporto McCracken così fotografò l’evoluzione dei rapporti tra le diverse grandi aree dell’Occidente. Per ritornare a crescere era indispensabile che i Paesi, che godevano di una più bassa inflazione ed un forte attivo della bilancia dei pagamenti – Germania e Giappone- dovessero adottare una politica più espansionista “nel comune interesse per la crescita mondiale”. Occorreva, in altre parole, potenziare il traino della “locomotiva”, evitando, sulla base delle indicazioni del Fondo monetario, che questo compito gravasse soli sugli Stati Uniti.

Come detto era il 1973. Allora l’unificazione tedesca non era ancora avvenuta. Esisteva solo la Repubblica federale. Ma negli anni quel rapporto conflittuale non é venuto mai meno. Anzi si é amplificato, con la crescita non solo economica, ma politica della Germania. Le cui resistenze, rispetto a quelle azioni, che sono indispensabili per evitare che un’egemonia degradi in semplice supremazia, perdurano tutt’ora. Ed ecco allora i veri “compiti a casa” dell’Europa tutta. Occorre aiutare l’establishment tedesco a superare la sua visione esclusivamente “mercantilista”. Facendo crescere la consapevolezza dei nuovi rischi che incombono sul Continente. L’asse russo – americano contro la vecchia concezione di un’Unione europea, incapace di reagire, può determinarne il definitivo smottamento. Ma a pagare il prezzo maggiore sarà, forse, la stessa Germania. Che un barlume di resipiscenza illumini la mente dei migliori.


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