Il dibattito politico è ormai interamente caratterizzato dalle due grandi questioni dominanti: la crisi sostanziale dell’Unione Europea e la tragedia dei migranti.
Si tratta, evidentemente, di due problemi collegati strettamente tra loro, sebbene non coincidenti. L’Europa ha una crisi più antica, che riguarda il rapporto difficile tra gli Stati membri, fenomeno questo ben più profondo dell’emergenza attuale dei barconi. Quest’ultima dolenza, tuttavia, con l’immane tomba mediterranea che si è prodotta, ha fatto detonare e poi esplodere il primo.
Un fatto positivo è, però, sotto gli occhi di tutti: il velo di maia della retorica e dell’ipocrisia falso buonista si è strappato, e, anche grazie ai movimenti politici sovranisti, le reali cause che hanno fatto arenare il progetto continentale sono apparse ora in tutta la loro nitida chiarezza. In primo luogo, la mancanza di un’Unione autenticamente democratica, che richiederebbe il protagonismo dei cittadini europei nell’eleggere chi la guida, nonché la totale assenza di un bene comune condiviso nella politica estera, con l’aggiunta, più di tutto, della derubricazione delle istituzioni rappresentate a Bruxelles in strumento per i rapporti di forza tra alcuni Stati dell’Unione sopra altri.
L’abrogazione degli accordi di Schengen, il ritorno unilaterale a far valere i confini interni su quelli esterni, ha decretato la fine di questa Unione, se non dell’Europa in se stessa, molto prima e molto meglio del presunto populismo.
Sia Angela Merkel e sia Emmanuel Macron sono i simboli di questa mala parvenza, finita nel mattatoio dei nazionalismi prima orientali e poi mediterranei. Il governo Conte, il primo tra i Paesi fondatori a rappresentare al suo interno il sovranismo insieme di destra e di sinistra, è il grimaldello che batte ormai da giorni contro ogni tentativo di ritornare a vendere l’Unione come qualcosa di autentico e non come una stagnante finzione concettuale quale è effettivamente che si abbatte sui cittadini, le loro vite, il loro lavoro e i loro risparmi.
A peggiorare la situazione ci ha pensato, non a caso, proprio il presidente francese. Dopo aver fatto un passo indietro e uno avanti nel dialogo con l’Italia nel giorni scorsi, ecco come ha tuonato infine a Quimper: “Il populismo cresce come una lebbra, un po’ ovunque in Europa, in Paesi in cui credevamo fosse impossibile vederlo riapparire”.
Il riferimento, chiaramente, è a noi, ma più ancora alla sua situazione politica interna, nella quale cresce con forza il Front National, presagendo così la fine del miraggio di rinverdire da sinistra il progetto europeo, mediante il maquillage della presentabilità brillante.
La questione, in realtà, è molto più seria. Direi che è perfino troppo gravosa per un colpo di teatro. Il populismo non è, infatti, un moto di protesta passeggero, ma un’alternativa democraticamente sostanziale alla tirannide di alcune nazioni su altre.
La vera malattia non è, invero, la lebbra demagogica dei nazionalismi, ma il flagello cronico e asintomatico dell’austerità imposta dall’alto, di una politica barocca che ha permesso a Francia e Germania di esprimere la prima e più grande diseguaglianza presente dentro il continente: quella tra loro e gli altri, quella tra le proprie economie e le altre, quella tra gli interessi politici loro e i nostri.
Per troppo tempo è stato concesso di poter beneficiare di due pesi e due misure in materia di politica economica, di patto di stabilità, nella bilancia commerciale, e così via. Adesso si vorrebbe addirittura che l’Italia si prendesse tutta l’immigrazione europea, perché l’umanitarismo è giusto quando riguarda gli altri, mentre è sbagliato quando concerne se stessi: ecco, questo proprio no.
L’uscita di Macron dimostra due cose chiare: i nervi del presidente francese sono saltati ed è fallito il giochetto ipocrita della finta Europa.
L’Europa nasce nel Medioevo, infatti, combinando insieme due valori: la particolarità delle comunità nazionali, l’universalità dell’umanesimo cristiano. Usare il secondo principio contro il primo, significa sostenere il primo contro il secondo, uccidendo la libertà umana e concreta delle persone.
L’Unione Europea è un sodalizio tra Stati sovrani, in equilibrio tra loro e nel rispetto reciproco tra legittime soggettività popolari. L’Europa è l’insieme degli Stati che vi appartengono. Nessuno ha diritto di chiedere la soppressione di un altro Stato in nome di esigenze ritenute arbitrariamente più importanti. Nessuno può chiederci di rinunciare alla nostra particolare identità spirituale e materiale italiana, accettando un multiculturalismo morto e sepolto sotto i colpi del terrorismo che si è espresso nel relativistico e individualista mondo belga e francese.
La lebbra, in ultima istanza, si diffonde dove vi è decomposizione. Quindi certo non in quegli organismi sociali che vogliono salvaguardare la propria integrità comunitaria, nazionale, popolare, sociale, statuale e democratica. Semmai prolifera, invece, laddove regna l’ipocrisia e la logica del falso inganno.