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Perché l’Italia deve assolutamente investire, investire e ancora investire

lavoro, cantieri decreto

Se una leva non basta a risollevare un Paese allora meglio usarne di più. Magari tutte assieme in un unico grande sforzo. Non è un caso che la parola scelta per fare da sfondo all’evento Investimenti nell’economia reale, golden rule. Il mercato non basta, organizzato ieri pomeriggio presso lo studio legale Gianni, Origoni, Grippo, Cappelli&Partners, fosse connettività. Degli investimenti. Non solo infrastrutture dunque, non solo innovazione e non solo ricerca, nessuno deve andarsene da solo per la sua strada, per vincere la sfida della competitività bisogna che gli investimenti nei settori menzionati avanzino compatti e insieme.

All’evento hanno preso parte oltre al socio fondatore dello studio, Francesco Gianni, il socio Renato Giallombardo, l’ex sottosegretario al Tesoro, Pier Paolo Baretta, il direttore dell’Osservatorio dei conti pubblici ed ex premier incaricato, Carlo Cottarelli, il viceministro dell’Economia, Laura Castelli (la cui presenza è saltata all’ultimo) e l’economista Nicola Rossi. Tutti coordinati dal giornalista e saggista Roberto Sommella.

Investire, investire e investire. Ma dove? E come? E con quali regole? Il caso più eclatante è sicuramente quello delle infrastrutture, perché solo un “Paese con con un buon sistema di infrastrutture può migliorare la propria produttività”, si legge in un passaggio del documento redatto dallo stesso studio insieme alla Scuola di Politiche e su cui si è concentrata la discussione. Il problema però è che non si può pensare di legare a doppio filo gli investimenti in Italia al colore dei vari governi. Per questo, si legge “vanno pensati investimenti di lungo, lunghissimo termine slegati dalle posizioni dell’esecutivo di turno”. E naturalmente il punto di partenza, sono le infrastrutture.

Per far ripartire la macchina, ha spiegato Cottarelli, bisogna innanzitutto “lavorare sulla domanda e dunque sulla crescita dell’economia. Se cresce l’economia c’è più domanda e se c’è più domanda allora c’è più offerta di investimenti. Ma non è tutto. Per un Paese come l’Italia bisogna lavorare sulla sua capacità di essere attrattiva, cioè di attrarre capitali privati che possano affiancare a quelli pubblici”. La ricetta di Cottarelli per raggiungere l’obiettivo è piuttosto semplice. “Tagliare le tasse ma soprattutto la burocrazia che è il vero freno a chi investe. Personalmente credo che nel contratto gialloverde sia previsto un robusto taglio alla burocrazia”.

Parlando degli investimenti pubblici, l’ex funzionario dell’Fmi ha sottolineato la differenza tra la spesa pubblica destinata agli investimenti in Italia e all’estero. “L’Italia sconta un grande problema di corruzione, che si è tradotto anche nell’enorme numero di opere incompiute, bloccate a cantieri in corso per delle problematiche giudiziarie sopraggiunte”. Un ultimo passaggio Cottarelli l’ha dedicato alla fiducia, “ingrediente essenziale per tornare a investire. Dobbiamo cercare di avere fiducia nel Paese, anche se spesso se ne parla un po’ male. Troppo. Io stesso se non avessi fiducia nell’Italia sarei rimasto all’estero. Diciamo che qualche problemino ce lo abbiamo ma questo non ci deve impedire di investire in questo Paese”.

Nicola Rossi, economista e presidente dell’Istituto Bruno Leoni, teorico della flat tax, ha invece puntato il suo ragionamento sulla cosidetta golden rule, la regola di bilancio secondo la quale gli investimenti pubblici possono essere scorporati dal computo del deficit ai fini del rispetto del patto di stabilità fra gli stati membri dell’Unione europea. “Io penso che spesso venga utilizzta in modo un po’ strumentale. Perché dobbiamo sempre dire che non possiamo fare strade, ponti o gallerie perché sennò sforiamo il deficit. Queste cose si possono fare, al massimo facciamo un po’ meno di spesa corrente. Effettuare investimenti pubblici si può e si deve, basta usare un po’ meglio i fondi che abbiamo a disposizione”.

Chi è tornato al punto di partenza, la necessità di connettere gli investimenti, è stato Baretta. Per il quale “investire oggi deve assumere un concetto ampio, che abbracci tutti i settori dell’economia. E ampio deve essere anche l’approccio finanziario. Non possiamo pensare solo a investimenti pubblici ma pubblici e privati, con i primi che chiamano in causa i secondi e viceversa. Parlo il caso delle famose partnership tra pubblico e privato. In questo modo staremmo anche più tranquilli coi vincoli europei”.


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