Lo stile di Trump è opinabile, così come lo sono sue decisioni relative al Medio Oriente, ma per capirle è necessario andare oltre la superficie. Questo il parere di David Harris, direttore esecutivo della American Jewish Committee (AJC), che ha tenuto oggi alla SIOI una conferenza dal titolo “Gli Usa, Europa e il Medio Oriente: il secondo anno dell’era Trump”.
Da quando Trump si è insediato nello studio ovale, i rapporti Usa-Europa sono stati molto tesi. Il G7 canadese ha rappresentato solo l’ultimo di una serie di strappi che si sono consumati tra Washington e i suoi storici alleati europei da quando il tycoon si è insediato alla Casa Bianca. Se c’è stato un dossier sul quale le due parti hanno manifestato le proprie incomprensioni è stato quello mediorientale, dove spesso e volentieri europei e americani si sono trovati su posizioni inconciliabili. Due le mosse di Washington che hanno fatto infuriare gli alleati, il ritiro dal nuclear deal, con la minaccia annessa di sanzioni per le imprese europee che continueranno a fare affari con l’Iran, e lo spostamento dell’ambasciata Usa a Gerusalemme. Due mosse portate avanti nonostante la contrarietà, più volte palesemente manifestata, degli alleati europei.
Harris mette subito in chiaro le cose con la platea: “Non solo l’avvocato difensore di Trump e nemmeno il suo portavoce”. Sarà vero, ma ascoltando la sua conferenza è subito evidente che il direttore dell’AJC è lontano anni luce dalle posizioni europee sui tradizionali dossier mediorientali. Per capire Trump, “bisogna fuggire qualsiasi approccio ideologico”, dice Harris. Anche negli States, “troverete 1o canali televisivi che 24 ore su 24 attaccano Trump e altri 10 che lo difendono, qualsiasi cosa faccia”. Tuttavia, una valutazione sana del suo operato, deve invece partire dai fatti, cercando di andare oltre lo stile decisamente poco convenzionale del Presidente americano. Un obiettivo chiave della diplomazia Trumpiana è, spiega Harris, “attirare l’attenzione”.
“Pensate alla Nato e alla famosa soglia del 2% di Pil che i membri dell’alleanza devono allocare per le spese sulla difesa. Trump non ha usato giri di parole, ha detto ‘la Nato è obsoleta’. A quel punto nei Paesi Baltici si è scatenato il panico”. Secondo Trump, “una volta si è attirata l’attenzione si può cominciare a trattare”.
Trump non ha paura di fare leva sul peso economico e militare degli Usa in sede diplomatica. Sull’Iran deal – spiega il direttore – “Trump l’ha detto chiaramente in campagna elettorale, -è il peggior deal della storia”. Tanti leader usano una retorica dura a cui poi non danno seguito, Trump non è così, e dopo 15 mesi in cui minacciava gli europei di ritirarsi l’ha fatto veramente. Gli europei dicono che si impegneranno per preservare l’accordo, ma “Trump sa perfettamente che l’economia americana è 150 volte quella iraniana e che le aziende europee devono operare le loro transazioni in dollari”.
L’accordo, spiega Harris, “aveva molte pecche. L’obiettivo di Obama e Kerry era quello di incoraggiare i riformisti moderati in Iran. Per loro Rouhani e Zarif dovevano ripetere quello che avevano fatto Gorbachev e Shevardnadze. Sfortunatamente, L’Iran sta continuando il suo programma pericolosissimo di missili ballistici e continua a minare la stabilità di Yemen, Siria e Iraq”.
Su Gerusalemme, dice Harris, “Trump ha preso la decisione giusta”. Badate bene, certamente non l’ha fatto per motivazioni religiose, ma neanche per le “potenti e nefaste lobby ebraiche, come vorrebbero certe teorie cospirazioniste”. Semplicemente, spiega il direttore, “gli stati membri delle Nazioni Unite sono 193. 192 hanno diritto di scegliere la propria capitale, 1 no. Quanto ancora deve aspettare Israele?”.