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Perché credo sia opportuna una nuova politica della cittadinanza e dell’immigrazione

immigrazione

Ottenuta la fiducia delle Camere, il governo Conte è pienamente operativo. È questo un risultato importante, a tratti perfino insperato, che oggi costituisce, se non altro, un robusto assestamento istituzionale e politico per l’Italia.

Adesso è il momento della verità. Le tante cose promesse in campagna elettorale, i tanti veti e le tante contrattazioni avvenute durante la laboriosa formulazione del contratto, devono essere realizzate rapidamente.

Il punto programmatico più importante, insieme al controverso reddito di cittadinanza, è la politica dell’immigrazione. Si tratta di uno degli obiettivi principali che, insieme alla riforma fiscale, hanno caratterizzato il programma politico del centrodestra, del quale spetta adesso solo alla Lega far valere l’attuazione all’interno della maggioranza gialloverde.

È prioritario individuare, perciò, alcune idee che dovrebbero ispirare la nuova politica dell’immigrazione, liberandola da ambiguità mediatiche e differenziandola dalla gestione fin qui attuata malamente dal centrosinistra. In primo luogo, il tema della cittadinanza.

In un contesto globale, sollecitato dalle migrazioni incontrollate d’interi popoli e dalle impietose guerre che flagellano l’umanità, è cruciale tenere uniti insieme due pilastri valoriali per nulla contraddittori: l’universalità del genere umano, del quale fanno parte appunto per natura tutti gli esseri umani, e la particolarità dei singoli popoli, contraddistinti da specifiche identità culturali, storiche, linguistiche, politiche e sociali.

Se il primo aspetto riconosce la dignità universale sacrosanta di ogni persona umana, il secondo distingue l’imprescindibile legame comunitario determinato che collega ogni persona umana alla propria cittadinanza.

Dal lato dell’Italia, bersaglio di arrivi incontrollati di masse di stranieri, flussi gestiti spessissimo da organizzazioni criminali, nella completa indifferenza degli altri partners europei, deve essere imprescindibile e prioritario l’interesse assoluto dei cittadini italiani. In primo luogo, perché la nostra Repubblica non è chiamata a svolgere un ruolo universale, che spetta invece alle Nazioni Unite, e in secondo perché i rappresentanti del Governo italiano hanno giurato di agire nell’esclusivo interesse nazionale, e non per conto dell’intera umanità.

Questo compito politico delimitato e specifico implica una netta distinzione tra coloro che sono cittadini italiani, nel cui interesse deve agire il governo italiano, e coloro che non sono cittadini italiani, verso cui è dovuto esclusivamente il riconoscimento dei diritti umani fondamentali.

Distinguere cittadini da non cittadini vuol dire assegnare allo Stato il dovere di accertamento degli stranieri, stabilire la legalità delle condizioni di accesso al mostro territorio, disciplinare e monitorare le presenze con severità e cautela massime.

Tale rigoroso criterio politico è sorretto dal fatto indubitabile che governare è ordinare, e che ordinare è riconoscere, dentro lo Stato e dentro l’umanità che abbraccia tutte le persone, le differenze che esistono e ci sono, riconoscendole così come appaiono in se stesse, senza alterarne la fisionomia reale, creando commistioni sociali interne impossibili da gestire. Bisogna distinguere e poi distinguere con giustizia. Distinguere, innanzitutto, cittadino e straniero; straniero comunitario ed extra comunitario; migrante regolare e irregolare; clandestino per necessità di asilo e abusivo; e soprattutto persone che sono perbene e persone che svolgono attività criminale e potenzialmente terroristica.

Distinguere vuol dire fare giustizia. Uniformare invece, magari in nome di sentimentali criteri di finto umanitarismo, è il modo migliore per alimentare caos, disordine, emarginazione, violenza, xenofobia e terrorismo, ossia la nefanda logica del tutti contro tutti.

Il modello multiculturale si è dimostrato errato. Esso si fonda su una falsa idea di uguaglianza sorretta esclusivamente da una presunta omogeneità neutra tra i popoli che non esiste in natura e che è lesiva delle differenti identità che sono proprie dei molteplici popoli della Terra.

La cosa peggiore che può fare uno Stato è non controllare il proprio territorio, non garantire la sicurezza dei propri cittadini, l’identità culturale della propria nazione, non salvaguardando la democrazia e la legalità guadagnata, mostrarsi debole davanti ai mutamenti storici che stanno attraversando il mondo.

L’Europa deve essere Europa: identità di un continente costituita dagli Stati che ne compongono intrinsecamente la realtà e che ne hanno prodotto l’esistenza.

Se, infatti, il patrimonio genetico dello spirito cristiano, che cementa l’Occidente, è l’universalità, questa non è da intendersi nel senso di un’indifferenza individualista verso i singoli soggetti umani, men che meno come un’uniformità univoca e ibrida che annulla le differenze, ma come comune appartenenza di ogni differenza particolare al genere umano, partendo dalla singola identità comunitaria di ogni aggregato storico-sociale.

Il principio di cittadinanza è il cuore peculiare di uno Stato. E la nostra nazione, fino a prova contraria, è uno Stato e non uno sportello delle Nazioni Unite.

Garantire la legalità della permanenza degli stranieri in Italia, nonché i doveri che si devono assumere necessariamente coloro che desiderano legalmente vivere nel nostro Paese, è la base naturale, culturale e giuridica di ogni possibile logica di apertura e accoglienza responsabile.

Per far valere lo spirito autenticamente umanitario, dunque, bisogna essere forti nel tutelare i cittadini italiani, risoluti nel difendere chi ha diritto di stare in Italia legalmente, adempiendo ai propri doveri professionali, civici e sociali, ma anche altrettanto decisi nell’accompagnare fuori dai confini nazionali coloro che non hanno diritto di restarvi, avendo evidentemente solo il dovere di andarsene.

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