Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha tenuto in tarda mattinata al Senato il discorso programmatico del primo cosiddetto “governo del cambiamento”. Dopo il lungo e faticosissimo avvio della legislatura finalmente l’Italia può disporre adesso di una maggioranza e di un’opposizione, con un Parlamento integralmente funzionante.
Il discorso, lungo e a tratti noioso, ha toccato i punti salienti di un progetto che promette di essere ambizioso e riformatore, all’insegna della discontinuità col passato. Non è un caso che le prime parole sono state la giustificazione del ruolo che Conte stesso ricopre, una sorta di punto terminale di garanzia della validità del contratto raggiunto dai due vicepremier, Luigi Di Maio e Matteo Salvini, i quali avevano originariamente finalità addirittura incompatibili tra loro.
L’avvocato del popolo italiano, secondo la sua autodefinizione, ha spiegato che l’idea guida dell’esecutivo sarà il primato del mandato elettorale, una prerogativa di democrazia diretta vantata come prospettiva post-ideologica da Lega e 5Stelle.
La dicotomia destra-sinistra è perciò giudicata come priva di contenuto, e ad essa è preferita la dualità vantaggioso-svantaggioso per gli italiani. A rispolverare la storia delle dottrine politiche si direbbe, ciò nondimeno, che il rimando non neutro evocato è ad una particolare forma sociale di conservatorismo che, a tutti gli effetti, si contrappone, proprio per questo, frontalmente a Socialisti e Popolari, in nome di una politica sociale radicale, intensiva ed esclusiva.
Non a caso, la semantica adottata da Conte ha optato per una ridefinizione in termini positivi del concetto di ‘populismo’, concepito come equivalente a comunità particolare, vale a dire nazione. Un interesse nazionale che riguarda sia il capitalismo produttivo contro quello finanziario e sia la solidarietà sociale contro il finto umanitarismo.
Politica, dunque, di attenzione ai cittadini, politica di determinazione limitata della forma democratica alla sostanza comunitaria della nazione, ossia del corpo elettorale, come rimedio al culto dell’artificiale, dell’astratto e del remoto.
Conte, in effetti, ha ragione nel dire che è questo tratto particolaristico a giustificare l’identico consenso divergente preso da 5Stelle e Lega, ed è proprio in nome di questo sentire comune, sia al nord che al sud, che le due forze politiche di maggioranza si sono alleate opponendosi all’universalismo tradizionalmente presente nella cultura sia di Forza Italia e sia del Pd.
Questa democrazia della cittadinanza ambisce ad essere, insomma, un progetto circoscritto, nel quale non soltanto si pongano al centro le tutele economiche e sociali dei poveri italiani, ma anche la legittima difesa, l’ambiente e le istituzioni rappresentative, appartenenti esclusivamente alla realtà popolare nazionale.
Opposte politiche, come defiscalizzazione per le imprese e reddito di cittadinanza, sono tra loro conciliabili, in effetti, unicamente nel quadro ristretto di una sintesi interna che ha la volontà di affermare e ricostituire soggettività politica al nostro Paese, in Europa e nel mondo.
Di qui provengono i riferimenti che Conte ha fatto ad un rafforzamento dell’Alleanza Atlantica e ad un’apertura di credito verso la Russia. Oltre, naturalmente, all’idea di una nuova configurazione dell’Europa, nella quale devono tornare in primo piano i cittadini e non una struttura istituzionale separata dagli interessi dei singoli Stati membri.
Un messaggio chiaro Conte lo ha inviato in materia di immigrazione e contro le mafie. Garantire legalità negli accessi consentiti e intransigenza contro lo sfruttamento dell’illegalità, ma anche lotta senza quartiere alla criminalità organizzata, spesse volte nascosta dietro il traffico dell’immigrazione clandestina.
Per l’Italia è fondamentale la revisione del Regolamento di Dublino, senza con ciò cadere in un’ideologizzazione in senso razzista della questione immigratoria. Un duro affondo è anche stato promesso contro le pensioni d’oro, da eliminarsi a vantaggio invece di una riorganizzazione delle pensioni di cittadinanza.
In definitiva, il programma enucleato da Conte, che adesso attende, nel tardo pomeriggio, la discussione dei senatori e domani dei deputati, si rivela una sintesi particolaristica abbastanza logica del più classico conservatorismo sociale, tutta imperniata sul primato della cittadinanza e sull’accentuazione del potere diretto della democrazia nazionale.
In questo senso, l’opposizione di destra non potrà non vedervi un eccesso di politica assistenziale, mentre quella di sinistra un’estenuante chiusura nazionalistica, ma, per contro, non potranno non trovare entrambe molte iniziative inversamente condivisibili.
Forse perciò Conte ha voluto lasciare aperto il dialogo parlamentare sul contratto ad eventuali adesioni che potrebbero aggiungersi nel tempo sia da destra che da sinistra.
Ad ogni buon conto, oggi questa maggioranza è l’unico risultato certo di quello che gli elettori hanno decretato all’elezioni del 4 marzo: due vedute diversamente conservatrici che il governo cercherà di rappresentare in modo politico come cambiamento. E non è detto che, alla fine, Conte non possa riuscire nell’ardua impresa che sta pilotando.