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Salvini come Erdogan? Voce grossa, identità nazionale e teoria del complotto

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La tentazione di assumere i toni da uomo solo al comando e uniformarsi a una tendenza da tempo globale, sta contagiando tutti. Figuriamoci se potevano rimanerne esenti il ministro degli Interni, Matteo Salvini, e il neofita premier, Giuseppe Conte, stregato dal potere e dal riflesso mediatico immediato che certi atteggiamenti producono. Un vero e proprio “celudurismo diplomatico”, che somiglia sempre di più a quello del tanto e più volte vituperato, da Salvini, presidente turco Recep Tayyip Erdogan, sia nelle manifestazioni, sia soprattutto negli obiettivi sul breve termine.

Salvini, e Conte al seguito, sanno perfettamente che facendo la voce grossa si ottiene subito un risultato: un aumento del consenso interno. Che, nell’epoca dei nuovi nazionalismi, ha un effetto ancora più prorompente. Se una volta si permetteva che la diplomazia facesse il suo corso dietro le quinte e si mandavano messaggi che non raggiungevano il vasto pubblico, ma solo gli interlocutori chiave, oggi l’elettorato, quello presente e quello ipoteticamente futuro e destinatari più importanti vengono informati praticamente in tempo reale. Il tutto, ufficialmente in nome della trasparenza, ma che ufficiosamente risponde alle più basilari regole dello spin doctoring. Si alzano i toni su un argomento per fare parlare automaticamente meno di un altro. Così se la tragica vicenda della nave Aquarius è arrivata in concomitanza con un test regionale in cui la Lega ha consolidato le sue posizioni, lo scontro diplomatico con la Francia e i messaggi all’Europa arrivano quando non si sente più parlare del Documento Economico e Finanziario, che rappresenta il vero, primo grande test per questo governo. In pratica, si urla molto, ma alla fine, agli atti concreti, rischia di cambiare davvero poco.

Un altro aspetto su cui Salvini ed Erdogan si somigliano, è quello del richiamo all’identità nazionale, spesso contrapposto ad altro, e dove la teoria del complotto gioca un ruolo sempre più importante. Occorre sottolineare che la Turchia si alimenta di complotti in modo quasi patologico, aiutati anche da una stampa pro Erdogan della quale certamente Salvini non gode. Ma i segnali perché si arrivi a una situazione simile ci sono tutti, soprattutto per quanto riguarda l’incancrenimento dell’elettorato nei confronti dell’Europa. Se nel caso turco, Bruxelles viene vista come la sposa mancata, o meglio, la sposa che ha rifiutato uno sposo a cui, nell’ottica turca, sarebbe folle dire di no, qui in Italia, Bruxelles, sempre più identificata con la Germania, fa la parte della matrigna, di colei che toglie, per avvantaggiare i suoi interessi nazionali. Ad accomunarli, c’è anche l’utilizzo di una tragedia umanitaria come quella dei migranti, per fare pressioni proprio sul club di Bruxelles.

Non è questa la sede per evidenziare tutti gli errori, le mancanze, il malfunzionamento e la necessità urgente di riforma dell’Unione Europea. Però ai leader più autoritari e nazionalisti, le falle a Bruxelles stanno facendo più che un favore.

C’è un ultimo aspetto che accomuna Salvini al presidente turco, anche se questo, per il momento, sembrerebbe ancora un azzardo, ma purtroppo i sentori per preoccuparsi ci sono tutti: la costruzione di una nuova identità nazionale. Nel caso turco si ha un mix esplosivo di nazionalismo su base etnica, nostalgia per la storia ottomana opportunamente rivisitata e con ambizioni imperiali e naturalmente identità religiosa. Nel caso di Salvini, a dire il vero ancora non si è capito. Ma gli insistenti richiami alla patria e la vicinanza a organizzazioni come Casa Pound devono farci seriamente preoccupare, nella speranza di non dover temere il peggio.


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